NEW YORK - E’ morto Lionel Hampton. Aveva 94 anni. Da ricordare gli incontri con Armstrong e Goodmann, la sua carriera da solista, un virtuosismo funambolico tra ritmo e dolci ballads. Qualunque cosa sia stato il jazz, con lui ha perso l’ultimo testimone dell’epoca d’oro di una musica che ha illuminato di sé il Novecento.
Lionel e l’Italia
Nel 1968 il jazzista fu ingaggiato dal festival di Sanremo per “ripassare” al vibrafono tutti i motivi in gara: tra cui «Canzone per te», «Deborah» e «Mi va di cantare» affidata a sua maestà Armstrong; nel ’95 partecipò all’omaggio al Mercadante di Napoli per i 75 anni di Carosone, duettando col maestro partenopeo sulle note di «Tea for two» e «’O sole mio»; in repertorio aveva «Volare» e «A chapel in Sanremo», versione americana di «Munasterio ’e Santa chiara».
Tra i suoi dischi migliori «Shufflin’ at the Hollywood», «Stardust», «Jumpin’ at the Woodside» (con Stan Getz) e «Vibraphone blues», mentre tra le incisioni degli ultimi anni si segnalano collaborazioni con Stevie Wonder, Chaka Khan, Wynton Marsalis e Red Hot Chili Peppers. Il suo inno personale era «Flying home», sorta di pre-rock and roll: nel ’42, all’Apollo di Harlem un fan si getto dalla balconata convinto davvero di poter decollare al suo ascolto. Un episodio da cui Earl Hines trasse «Second balcony jump».