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25 gen 2005ESTERI “Oggi l’Istria, domani la Bosnia. L’agriturismo contagia i Balcani”

SARAJEVO  La forza delle idee, idee contagiose che generano altre idee. La voglia di metterle in pratica. Con una marcia in più rispetto forse ad altri progetti di cooperazione decentrata che dispongono di fondi maggiori: la presenza sul territorio, la voglia di esserci anche con la propria mentalità imprenditoriale e di sviluppo, la rete di operatori locali ed operatori espatriati che sono per dodici mesi l’anno a contatto con i propri partner balcanici. 
 
Il secondo giorno del seminario Seenet (un programma di cooperazione decentrata con al centro una fitta rete di enti ed istituzioni locali guidati dalla Regione, 14 toscani e 21 nel Sud-est europeo) è la volta della riunione del Comitato esecutivo. E l’incontro si apre non a caso con l’intervento del rappresentante della delegazione dell’Unione europea in Bosnia Erzegovina, Renzo Daviddi. Un grossetano. L’obiettivo di Seenet, a coordinare l’Ong Ucodep, è del resto anche quello di aiutare i Balcani ad essere in grado di avere sempre più proposte pronte per essere cofinanziate dall’Europa. “Ci sono 1 milione e ottocentomila euro per la gestione dei rifiuti: serviranno a realizzare impianti e discariche” ha ricordato Daviddi. Ed anche di acqua e rifiuti – ieri è stato firmato un accordo tra Cispel Toscana e la federazione bosniaca delle aziende di servizi pubblici – si occupa per l’appunto Seenet.
 
Idee per il futuro, con un appuntamento già fissato tra un anno e mezzo per verificare quanto è stato realizzato, ma anche modelli già esportati e che funzionano. A margine del seminario, nel parlamentino all’interno del Palazzo rosso sede del governo del Cantone di Sarajevo, l’assessore all’agricoltura Tito Barbini ricorda  il caso dell’Istria. Istria che ha la vice presidenza del programma Seenet.
 
“Nel 2000 in quella regione della Croazia - ricorda – c’erano solo poche decine di agriturismi. Ora sono oltre 400, organizzati tutti sul modello toscano. E’ il frutto di un progetto già attivato da anni con l’Istria. Il modello piace, lo sviluppo rurale è una delle azioni e degli interessi anche di Seenet. Domani al posto dell’Istria potrebbe esserci la Bosnia Erzegovina o la Macedonia”. Tutti i Balcani, pur con il parodosso di rischiare per altri versi la bomba ecologica, sono infatti regioni dove potenzialmente il turismo può crescere ed ha bisogno di crescere.
 
Su questo fronte sta lavorando anche Slow Food, parte di Seenet e parte della delegazione toscana in questi giorni a Sarajevo. Slow Food fa tesoro dell’esempio della Fondazione delle Biodiversità che ha sede all’Accademia dei Georgofili, fortemente voluta dalla Regione Toscana, e dice: difendiamo i prodotti tipici, valorizziamone la qualità, manteniamone inalterati con Dop ed Igp i metodi tradizionali di produzione e trasformazione. Come è stato fatto con il lardo di colonnata o il prosciutto di Pratomagno, il fagiolo zolfino o il pollo del Valdarno. E domani diventeranno, dicono, il prodotto immagine specchio di un territorio incontaminato. 
Alla valorizzazione dei prodotti tipici bosniaci sono fortemente interessati, tra gli enti toscani, la provincia ed il comune di Arezzo ed il comune di Prato, che vuole esportare in Istria pure la propria esperienza nei centri commerciali naturali (reti di piccoli negozi per rilanciare i centri storici) e aiutare assieme all’Università di Firenze la nascita di una scuola di restauro.
 
Proprio a Prato, a metà settembre, ci sarà in piazza del Duomo, organizzata in collaborazione con la Confesercenti, una fiera internazionale di  prodotti tipici. Sullo stile di quello che è successo quest’anno a Firenze, in Santa Croce. E all’interno della fiera ci sarà un isola dedicata alla Bosnia: troveremo il formaggio di Livno, un pecorino speziato di un paese poco prima di Mostar, il formaggio Craimac lavorato nella pelle del ventre di pecora. Ci sarà magari anche la bamia, ‘capperone’ afrodisiaco, ed il miele, che assieme alla grappa si trova per strada in ogni città e mercato della Bosnia Erzegovina.
 
 E, perché no, la prugna gialla di Sarajevo di cui si fa confetture: uno dei presidi, assieme al bue istriano, a cui sta lavorando Slow Food. Prodotti tipici per agganciarsi a quel turismo della conoscenza che “secondo il Wto - ricorda Luca Fabbri di Slow Food  – porterà nel mondo da qui a cinque anni un milione e mezzo di visitatori in più”. Turisti che non cercano anonimi alberghi a cinque stelle, ma territori da visitare, culture e popolazioni da incontrare.
 
 
 



 
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