BERNA - (Italia Estera) - I cittadini francesi hanno detto no alla Costituzione Europea, confermando le previsioni dei sondaggi. Il risultato era dunque nell'aria, ma in molti speravano nello scatto di reni capace di ribaltare sul filo di lana il risultato tanto temuto. La battuta d'arreso causata dall'esito del referendum francese (oltre il 55% ha detto no alla Carta) pone grossi interrogativi sul futuro della Carta Costituzionale, perché la Francia è stata, insieme alla Germania, il motore del processo d'integrazione europea di questi ultimi decenni, e perché la Francia fa parte di quel club ristretto che annovera i fondatori della Comunità Europea.
La gravità della crisi che ha investito l'Europa non deve tuttavia indurre ad analisi strumentalmente sfasciste e ai cori interessatamente trionfalistici degli oppositori. Il no dei francesi è un colpo duro che mette in discussione le certezze, ma la Francia non ha rinunciato all'Europa, ha invece bocciato un progetto politico - il Trattato costituzionale - che intende dare una nuova dimensione istituzionale all'Unione Europea, per guardare avanti e costruire un modello di coesione rispondente alle aspirazioni dei cittadini europei e alle trasformazioni cha hanno determinato i nuovo scenario mondiale.
Certamente il voto espresso dai cittadini francesi mette a nudo il disagio che si avverte in vari Paesi rispetto alle politiche dell'Unione Europea, un segnale che non bisogna sottovalutare. Lo spettro della disoccupazione e la deludente crescita economica di questi ultimi anni hanno frenato il potere d'acquisto dei salari europei e conseguentemente il benessere è mediamente diminuito.
Va detto poi che le scelte di politica economica - spesso smaccatamente liberiste - hanno accresciuto il malumore, soprattutto nell'Europa occidentale, e direttive come quella di Bolkestein hanno dato ulteriore spinta al disagio.
Va detto anche, però, che nel risultato vi è una forte componente di opposizione alla politica governativa francese, altrimenti come si potrebbero interpretare le pericolose convergenze tra la destra ultranazionalista e la sinistra internazionalista per definizione? La Carta Costituzionale rappresenta un passaggio obbligato verso il modello di integrazione e di economia sociale largamente sostenuto dai sindacati europei; un modello fondato sulla coesione, sulla solidarietà che non può essere soltanto una felice espressione d'intenti, sullo sviluppo sostenibile. Un modello che consenta insomma di crescere tutti insieme, senza sacrifici umani, sulla via del progresso.
La pancia del popolo dice che sul voto hanno influito i nuovi scenari disegnati dall'allargamento e la paura "dell'idraulico polacco". Ma se queste sono le paure, dobbiamo forse attenderci la rinascita dei nazionalismi e la difesa strenua degli interessi nazionali? Se così fosse significherebbe che abbiamo il Kossovo e la Bosnia in casa e che occorrono leader capaci di andare fino in fondo, senza speculare sui rischi per le proprie fortune politiche, pena un pericoloso arretramento dell'Europa. Non è forse vero che l'esito del voto francese è stato accolto con soddisfazione a Washington? Le paure non possono prendere il sopravvento e spegnere gli aneliti di libertà e democrazia che animano molti Paesi dell'est e far venire meno uno dei cardini fondamentali dell'Europa unita: la pace come valore unificante.
Occorre ribadirlo con fermezza anche qui in Svizzera, dove il 5 giugno il popolo voterà per l'adesione all'accordo di Schengen/Dublino; la destra ha calcato con forza la mano sui paralleli che idealmente unirebbero il no francese con il voto svizzero, come se un Trattato Costituzionale e un accordo bilaterale fossero accomunabili nello stesso disegno politico.
Franco Narducci