Editoriale di Nino Randazzo sui quotidiani italiani d'Australia, "Il Globo" di Melbourne e "La Fiamma" di Sydney, di giovedì 23 giugno
MELBOURNE - (Italia Estera) - Chi ha spinto gli italiani, specie quelli all’estero, a non votare nel recente referendum sulla procreazione assistita ha reso un pessimo servizio in ogni senso. Il risultato fallimentare della consultazione con la bassissima partecipazione, in patria come fuori, ha non solo premiato il vile rigetto del dettato costituzionale dove si afferma che “il voto è un dovere civico” (senza altre indicazioni, aggiunte, specificazioni e sottintesi, senza “benedizioni” per l’opzione astensionistica). Non solo ha consacrato l’irresponsabilità dei parlamentari, che avrebbero potuto e dovuto mettere mano alla riforma di una legge, da loro stessi considerata lacunosa ma votata appena un anno prima, e l’irresponsabilità delle frange radicali che abusano dello strumento referendario finendo col vanificarlo. Non solo è stato nel complesso un madornale esempio di diseducazione civica, fattore scatenante di opposti estremismi di cui non avrebbe proprio bisogno la democrazia italiana. Ma ha anche aizzato nel Senato una dozzina di cani sciolti del centrodestra e del centrosinistra contro l’esercizio del voto all’estero.
Infatti, cogliendo la palla al balzo, quel movimento trasversale che c’è sempre stato in Parlamento contro la circoscrizione Estero ha rialzato il capo nei giorni scorsi al Senato in occasione della conversione in legge (già approvata dalla Camera), in Commissione Affari costituzionali e in aula, del decreto di legge per la ripartizione dei seggi nelle due assemblee in modo da dare, secondo quanto stabilito dalla Costituzione e dalla susseguente normativa sul voto per corrispondenza, 12 deputati e 6 senatori ai cittadini residenti fuori dai confini nazionali.
Inutile elencare le oziose sottigliezze procedurali degli emendamenti presentati, dove il linguaggio arzigogolato è molto vicino a quello dei quesiti referendari sulla procreazione assistita incomprensibili ai più. Si vuole, in sostanza, evitare a 18 onorevoli paia di natiche in patria il sacrificio di altrettanti seggi parlamentari, facendo slittare al 2011 il primo esercizio di voto politico degli italiani all’estero.
Ma chi è che vuole e cerca, a livello personale, così apertamente e sguaiatamente, questo altro strappo alla Costituzione? Presto detto. Non meravigliano, nel centrosinistra, i nemici di sempre del voto all’estero: l’intero gruppo dei Verdi, come se si trattasse di difesa da inquinamento ambientale. Gli altri tre sottoscrittori di “emendamenti bastone tra le ruote” sono i senatori dei Democratici di Sinistra Lanfranco Turci (ex boss della Lega cooperative e mutue, evidentemente incapace di cooperazione e mutualità con chiunque vive e lavora fuori del patrio orticello) e Stefano Passigli (noto musicologo, stavolta alquanto stonato), e il senatore della Margherita Pierluigi Petrini (ex socialista craxiano, prima eletto nella Lega Nord e poi catapultato in Rinovamento Italiano di Dini e che ora pare così avere un ritorno di fiamma leghista). I sottoscrittori degli emendamenti nell’intero settore di centrodestra risultano: un avanzo degli antichi quattro gatti del Partito repubblicano, Del Pennino, il post-democriustiano dell’UDC Maffioli, tre “Carneadi” di Forza Italia – Falcier, Boscetto e Scarabosio – e, senza sospresa, i leghisti Stiffoni e Pirovani.
Tutti questi i “salvatori della patria”. Cani sciolti, per l’appunto, a tuti gli effetti pratici. Ha, quindi, perfettamente ragione il ministro Tremaglia quando afferma che non esiste alcun emendamento, attuale o potenziale, del governo per affossare il voto all’estero nel 2006. E, a parte le sopraindicate eccezioni, neppure nell’opposizione. C’è stata, è vero, una presa di posizione critica del ministro Baccini (area UDC), secondo il quale l’Italia “non sarebbe ancora protna al voto all’estero”, ma l’interessato avrebbe precisato di non aver rilasciato alcuna intervista formale, bensì di aver fatto un ragionamento generico in una discussione privata, non intesa per pubblica diffusione. Un altro esponente del governo, il senatore Enrico
La Loggia
, ministro per gli Affari regionali, è arrivato l’altro ieri ad auspicare il diritto di voto all’estero anche per le elezioini regionali. Dal loro canto i responsabili del coordinamento dell’Ulivo per gli italiani all’estero – i senatori Danieli (Margherita) e Crema (socialdemocratico) e l’eurodeputato Pittella dei Democratici di Sinistra) hanno reso dichiarazioni che suonano precisa sconfessione e condanna anche dei pochi, randagi e isolati cani sciolti anti-voto all’estero nel centrosinistra.
Quattro brevi considerazioni per concludere. Tutto il baccano al Senato per la conversione in legge del decreto legge n.64 è limitato all’eventualità ormai tramontata di elezioni anticipate entro il 30 settembre prossimo. Il pretesto della bassa partecipazione all’estero al referendum non tiene, perché nessuno (a parte i menzionati “cani sciolti”) si sognerebbe di negare il voto politico agli italiani d’Italia per lo stesso motivo. Il mancato allineamento dell’AIRE con le anagrafi consolari resta interamente un problema del governo, in particolare del Ministero dell’Interno, e non degli elettori all’estero, e i “morti che votano” sono e/o vengono tutti dalle anagrafi dei comuni d’origine, così come i disservizi dei consolati nella distribuzione dei plichi elettorali sono in parte notevole da addebitare alla falcidie nel bilancio del Ministero degli Esteri. Infine, il peregrino ragionamento di incostituzionalità del voto all’estero nelle presenti circostanze dovrebbe, a rigore di perversa logica, portare all’assurda conclusione di invalidare tutt’e tre le prime consultazioni elettorali già effettuate col voto per corrispondenza: due referendum e l’elezione dei Comites. Ma come la mettiamo intanto coi cani sciolti? Basterebbe lasciarli abbaiare.
NINO RANDAZZO