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20 lug 2005Riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - L'ntervento del Ministro Fini dinanzi alle Commissioni Affari Esteri di Camera e Senato

ROMA - (Italia Estera) - Il Ministro degli Esteri Gianfranco Fini é Intervenuto  alla Riunione Congiunta delle Commissioni Affari Esteri di Camera e Senato sulla riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite Questo il suo intervento, che pubblichiamo interamente, per l'importanza dell'argomento:
Riforma dell'ONU: parte generale
Il dibattito alle Nazioni Unite sul tema della riforma dell'organizzazione è entrato in una fase cruciale. Si stanno mettendo a punto a New York le decisioni che dovrebbero essere ratificate dai Capi di Stato e di Governo nel Vertice che si svolgerà dal 14 al 16 settembre. Il Vertice è dedicato in primo luogo alla verifica dell'attuazione data alla Dichiarazione del Millennio - adottata nel 2000 - e agli obiettivi di sviluppo in essa contenuti. Esso costituirà anche l'occasione per prendere decisioni importanti sulla riforma dell'ONU.
Gli Onorevoli parlamentari sono al corrente dei passaggi che negli scorsi mesi hanno segnato il dibattito sulla riforma. Tra i più significativi, la pubblicazione nel dicembre 2004 del rapporto del Panel di alto livello nominato dal Segretario Generale; all'inizio di quest'anno, quella delle proposte elaborate dal team di esperti e ricercatori, coordinati dal Premio Nobel Jeffrey Sachs. Successivamente, nel mese di marzo di quest'anno, il Segretario Generale ha presentato il suo rapporto, dal titolo “In larger freedom”, che riprende molti degli spunti contenuti nei due precedenti documenti proponendo un disegno complessivo di riforma dell'ONU.
Lo scorso 3 giugno il Presidente dell'Assemblea Generale, il Ministro degli Esteri del Gabon, Jean Ping, ha fatto circolare un primo progetto di Dichiarazione Finale del Vertice di settembre. Le consultazioni informali in Assemblea Generale hanno avuto inizio il 21 giugno scorso, con l'obiettivo di finalizzare il testo per la seconda metà di luglio.
Il documento del Presidente Ping può essere considerato in linea generale una buona base di lavoro. E' apprezzabile la sua enfasi sull'esigenza di una riforma complessiva delle Nazioni Unite che leghi strettamente gli aspetti dello sviluppo, della sicurezza e dei diritti umani, concepiti come “fondamenti indispensabili” della sicurezza collettiva.
Appare anche condivisibile l'appello a dare corpo a una nuova visione condivisa della sicurezza collettiva che muova dal presupposto del carattere globale ed interdipendente delle minacce alla pace, minacce che annoverano anche il sottosviluppo, il degrado ambientale e le pandemie; minacce che nessuno Stato puo' affrontare in isolamento. Questo nuovo approccio comprende un insieme di concetti e proposte mirato ad individuare un punto di equilibrio fra le diverse sensibilità degli stati membri. La necessità di conciliare posizioni a volte molto distanti tra loro ha evidentemente comportato una diluizione di alcune formulazioni rispetto al rapporto di Kofi Annan.
Circa i contenuti, esprimiamo in primo luogo il nostro apprezzamento per l'importanza attribuita ai temi dello sviluppo. L'Italia concorda pienamente sul ruolo centrale che essi devono giocare nella preparazione del Vertice di settembre e intende contribuire al comune impegno per definire il percorso di innalzamento progressivo del rapporto tra Aiuto Pubblico allo Sviluppo e PIL.
Sosteniamo poi con convinzione - in linea con la posizione dell'Unione Europea - la proposta di istituire un Consiglio per i Diritti Umani. L'Italia intende fornire un contributo costruttivo all'elaborazione di soluzioni di equilibrio tra l'esigenza di disporre di un organo a composizione ristretta, che sia efficace nel suo funzionamento e produca dei veri miglioramenti nel campo dei diritti umani, ed il bisogno di partecipazione attiva e di coinvolgimento manifestato da ampia parte della membership ONU.
Altro dossier per noi fondamentale è quello concernente la costituzione della Commissione per il Peacebuilding, incaricata di assicurare il raccordo fra gli interventi a tutela della pace e l'avvio di processi di sviluppo di medio-lungo periodo. Forte è, infatti, l'esigenza di assicurare che guerra e fame non tornino ad affliggere le popolazioni appena uscite dai conflitti armati e di consolidare nel tempo i processi di stabilizzazione avviati. E' pertanto indispensabile rafforzare il nostro impegno affinché questa Commissione venga istituita secondo modalità che ne garantiscano il massimo dell'efficienza. L'Italia insiste inoltre sulla necessità che l'UE in quanto tale faccia parte della nuova Commissione, la cui istituzione potrebbe configurarsi come uno dei risultati più importanti e positivi del Vertice di settembre.
Il rafforzamento e la razionalizzazione dell'organizzazione interna delle Nazioni Unite è un altro dei punti su cui si sofferma il documento del Presidente dell'Assemblea Generale. Alla luce anche degli episodi di cattiva gestione, limitati ma indicativi, che si sono registrati, è evidente che anche questo settore necessita di progressi sostanziali e visibili.
Su altri aspetti (uso della forza, peacekeeping, “responsabilità di proteggere”), il documento del Presidente Ping, che del resto è solo una base preliminare di lavoro, riflette la sua natura di testo di mediazione. Alcuni degli aspetti più innovativi dei rapporti più sopra citati ne escono ridimensionati. Ci stiamo quindi impegnando per far sì che il testo possa essere migliorato ed assumere un carattere maggiormente operativo.
Occorre tuttavia mettere in conto un processo negoziale particolarmente complesso alla luce delle diverse sensibilità esistenti fra gli Stati membri. Da una parte, sono schierati i Paesi - prevalentemente in via di sviluppo, ma con differenze significative al loro interno - che fanno del rispetto della sovranità nazionale un limite forte all'intervento della comunità internazionale, anche in caso di gravi crisi umanitarie o di massicce violazioni dei diritti umani. Sul fronte opposto, quei Paesi che, come l'Italia, ritengono che le tragiche esperienze degli ultimi anni impongono di riconsiderare certe interpretazioni dogmatiche di tale principio quando sono in gioco il benessere e, spesso, la stessa sopravvivenza di intere popolazioni. La mediazione fra tali visioni non deve avvenire al ribasso, ma determinare un effettivo rafforzamento della capacità delle Nazioni Unite e dei loro organi di intervenire in situazioni di crisi, ed anche di prevenirle.
Riforma del Consiglio di Sicurezza
Come si vede il dibattito sulla riforma dell'ONU non è per nulla agevole, né puo' essere circoscritto al solo aspetto del futuro del Consiglio di Sicurezza. E' anche per questo che, proprio su questo delicatissimo tema, abbiamo dato un giudizio particolarmente critico dell'iniziativa presa nelle ultime settimane da quattro Paesi - Brasile, Germania, Giappone ed India, il c.d. G4 - per portare al voto un progetto di risoluzione fortemente divisivo nei suoi contenuti. Essa ha già in qualche misura compromesso la preparazione del Vertice, monopolizzando l'attenzione delle delegazioni e approfondendo notevolmente le tensioni già latenti nei diversi gruppi regionali.
Siamo così entrati nel tema centrale di questa audizione. E' necessario procedere con ordine, riepilogando brevemente - in primo luogo - gli sviluppi di queste ultime settimane.
G4
Il 6 luglio u.s. il G4 ha formalmente depositato a New York un progetto di risoluzione, fatto circolare in precedenza, con la co-sponsorship di 27 Paesi, poi divenuti 29. Si tratta prevalentemente di Paesi europei - Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Grecia, Islanda, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo e Ucraina - e alcuni, per l'esattezza 8 microstati dell'Oceano Indiano e del Pacifico. Come credo sia noto, il progetto delinea un percorso in tre fasi per la riforma con l'approvazione, dapprima, di un progetto di risoluzione-quadro che istituisce, oltre a quattro seggi non permanenti, sei nuovi seggi permanenti non nominativi, di fatto privi del diritto di veto, riconosciuto solo formalmente (il suo esercizio viene, infatti, sospeso per almeno 15 anni; dopo tale periodo, una non meglio precisata revisione dovrebbe consentire di deliberare sull'effettiva attribuzione, o meno).
Entro una settimana dall'eventuale approvazione della prima risoluzione-quadro i Paesi che intendono candidarsi ai nuovi seggi permanenti dovranno notificarlo al Presidente dell'UNGA. L'elezione dei membri permanenti dovrà quindi avvenire al più presto possibile ed in ogni caso non più tardi di 12 settimane dopo l'approvazione della risoluzione quadro. Entro due settimane dall'elezione dei nuovi permanenti dovrà, quindi, essere presentata - e votata al più presto - l'ultima risoluzione che conterrà gli emendamenti agli articoli rilevanti dello Statuto dell'ONU.
L'accelerazione impressa al dibattito dal G4- che si è collocata al di fuori dei canali istituzionali attraverso i quali si sta sviluppando la preparazione del Vertice di settembre, essendo stata di fatto rifiutata ogni mediazione del Presidente dell'Assemblea Generale - ha determinato altri importanti sviluppi.
Uniting for Consensus
In primo luogo, i Paesi che contestano l'approccio del G4 hanno dato vita al movimento “Uniting for Consensus”, che già nella sua denominazione evidenzia la necessità di un diverso approccio, un approccio condiviso, alla riforma del Consiglio. E' convinzione di tale raggruppamento - di cui l'Italia è focal point - che la riforma di tale organo, centrale non solo per le Nazioni Unite, ma per l'intero sistema delle relazioni internazionali, non possa che avvenire sulla base di soluzioni di ampio consenso, pena una grave crisi di legittimità delle Nazioni Unite.
Il movimento “Uniting for Consensus” ha fatto circolare a New York un proprio progetto di risoluzione sulla riforma del CdS, alternativo a quello del G4, che prevede l'allargamento del CdS a 25 membri con la creazione di dieci nuovi seggi con un mandato di due anni. I nuovi seggi verrebbero assegnati agli attuali cinque gruppi geografici all'ONU, cui sarebbe lasciata la facoltà di definire al proprio interno le modalità di elezione/rielezione (eventualmente abolendo l'attuale divieto di rielezione immediata) e gli eventuali meccanismi di rotazione sui nuovi seggi.
La proposta riflette l'impostazione che ha per lungo tempo caratterizzato l'approccio dell'Italia, con quegli aggiustamenti necessari a tenere conto della posizione degli altri importanti Paesi che fanno parte del movimento UfC. Essa risponde quindi all'esigenza di un'ampia partecipazione degli Stati membri al CdS, ma nel quadro di una formula flessibile, che consenta ai Paesi dotati di maggiori risorse una partecipazione più continuativa. Ferma rimane la contrarietà all'istituzione di nuovi membri permanenti - opzione che riteniamo del tutto superata dall'evoluzione del sistema delle relazioni internazionali e gravemente lesiva della legittimità percepita del Consiglio e delle sue decisioni -, la necessità del periodico passaggio elettorale e la valorizzazione della dimensione regionale, idonea anche a lasciare aperta la strada ad una sempre più attiva partecipazione dell'Unione Europea al Consiglio, nella prospettiva del seggio europeo.
Il “modello UfC” va peraltro inteso come un contributo per ulteriori discussioni nel quadro del processo di consultazioni avviato dal Presidente dell'Assemblea Generale, che intendiamo affrontare con flessibilità e spirito di apertura nella prospettiva di individuare una formula di compromesso che apra la strada ad una decisione consensuale. Di qui anche la nostra decisione, fino ad oggi, di non depositare formalmente il progetto di risoluzione, pure inviato a tutta la membership. Alla luce della più recente evoluzione della situazione, abbiamo peraltro deciso di chiedere la registrazione del progetto di risoluzione UfC, ciò che ci accingiamo a fare nei prossimi giorni.
Unione Africana
Sviluppi importanti si sono registrati anche in Africa, continente potenzialmente determinante per il numero di Stati membri dell'ONU - 53 - e per la tendenza, non priva di eccezioni, ad assumere posizioni coordinate. I Ministri degli Esteri africani si sono espressi a favore dell'aumento dei seggi permanenti, di cui due da assegnare all'Africa, sia pure con qualche ambiguità - la possibilità di rotazione non sembra ancora del tutto esclusa. Ferma tuttavia è restata la richiesta di attribuzione del diritto di veto ai rappresentanti dell'Africa, come anche quella di due seggi non permanenti aggiuntivi rispetto ai tre di cui il Gruppo Africano già dispone. In linea con tale impostazione, al Vertice UA di Sirte (4-6 luglio u.s.) i Capi di Stato africani hanno finalizzato - e poi formalmente depositato - un loro progetto di risoluzione sulla riforma del CdS che prevede l'allargamento del Consiglio a 26 membri con l'istituzione di sei nuovi membri permanenti - con diritto di veto - e cinque non permanenti, di cui due da assegnare all'Africa. Il Gruppo rivendica inoltre il diritto di selezionare i propri rappresentanti, che -in base allo Statuto - dovrebbero comunque essere eletti dall'Assemblea Generale.
Sullo sfondo della posizione africana rimane tuttavia una forte divisione fra i Paesi che aspirano ad un seggio permanente - si sono già manifestate sette candidature, alcune delle quali definibili di disturbo - e altri membri del Gruppo che vedono con preoccupazione l'attribuzione di uno status privilegiato a due Paesi africani. Tale sviluppo avrebbe importanti ripercussioni sugli equilibri del continente, sancendo gerarchie del tutto estranee alla sua realtà e alla sua storia.
I 5 permanenti e gli altri Stati membri
Infine, è evidentemente importante registrare la posizione dei cinque permanenti che detengono un potere di veto rispetto ad eventuali emendamenti allo Statuto, sia pure solo in sede di ratifica.
Gli USA hanno chiaramente espresso la contrarietà al progetto di risoluzione quadro del G4 criticandolo in più punti: carattere divisivo, opposizione di molte nazioni influenti, ricadute negative di una composizione a 25 membri sull'efficacia del Consiglio, inaccettabilità di un processo che prevede l'istituzione di nuovi seggi permanenti prima che venga presa una decisione sui Paesi che soddisfano i criteri appropriati per occupare tali seggi. Ricordo che in precedenza gli USA avevano annunciato la presentazione di una loro proposta di riforma del CdS - definita flessibile - che contemplerebbe la creazione di circa due (“two or so”) nuovi membri permanenti senza diritto di veto - uno dei quali il Giappone - oltre a due o tre nuovi membri non permanenti. Il secondo seggio sembrerebbe dover andare ad un PVS, ma è un'indicazione non confermata.
Da parte di Washington non ci si è limitati ad interventi in Assemblea Generale, ma è stato avviato un capillare programma di passi nelle capitali. A questa svolta nell'impegno USA sul dossier non è probabilmente estranea l'azione di sensibilizzazione condotta dall'Italia al più alto livello. Tanto più significativa risulta la nuova politica di Washington se si ricorda che ben due precedenti Amministrazioni americane si erano fatte sostenitrici, senza riserva alcuna, del principio dell'attribuzione di un seggio permanente alla Germania e al Giappone.
L'opposizione alla proposta del G4 è stata manifestata con particolare fermezza anche dalla Cina, con cui il movimento “Uniting for Consensus” ha sviluppato un'efficace collaborazione. Pechino sta dimostrando il massimo impegno nel contrastare l'azione del G4, attivandosi in tutte le capitali, anche attraverso numerose missioni ad hoc, oltre che a New York.
Al contrario, sostengono l'azione del G4 la Francia, che ne ha cosponsorizzato il testo, e, con minore visibilità, il Regno Unito. La posizione della Russia - che pure si è più volte espressa a favore delle aspirazioni di questo o quel membro del G4 - appare ora più defilata, come ho avuto modo di constatare personalmente nei miei colloqui con il Ministro Lavrov.
In linea generale, negli altri continenti prevale una notevole incertezza e talvolta confusione. La pressione esercitata da diversi mesi, con ricchezza di mezzi, dal G4 ha certamente consentito di acquisire un livello significativo di sostegni. Tuttavia, nella nostra azione svolta a tutto campo, abbiamo anche colto una diffusa insofferenza verso le continue sollecitazioni per una decisione “ora o mai più”. Inoltre, vi sono fattori specifici legati alle diverse realtà regionali che hanno spesso una notevole influenza nell'orientare la posizione di diversi Paesi. Di tale scenario frammentato deve ragionevolmente essere consapevole anche il G4, che altrimenti non avrebbe esitato a chiedere il voto sul suo progetto di risoluzione già da diverse settimane.
Ultimi sviluppi
Gli scenari alle Nazioni Unite sono ancora in via di chiarimento. Vi è uno sforzo in atto da parte del G4 di negoziare con l'Unione Africana un testo reciprocamente accettabile. Il negoziato poggia sulla struttura apparentemente simile della composizione del Consiglio dei due progetti: sei nuovi membri permanenti e quattro - per il G4 - cinque per l'Unione Africana - nuovi membri non permanenti. Tuttavia, la richiesta africana del diritto di veto per i permanenti, di un seggio non permanente in più e di poter selezionare in via autonoma i propri rappresentanti in CdS - apparentemente aggirando l'articolo 23.2 dello Statuto, che lascia all'Assemblea Generale l'elezione dei membri non permanenti - costituiscono un ostacolo forte a tale riavvicinamento: l'incontro dei Ministri degli Esteri del G4 con i rappresentanti dell'UA a New York domenica 17 luglio si è concluso con un nulla di fatto.
Se non è possibile escludere un riavvicinamento delle posizioni - i contatti proseguono - appare difficile che il G4 possa fare concessioni sul diritto di veto. In questo caso sconterebbe non solo l'opposizione degli attuali permanenti, ma anche la perdita di sostegno da parte di alcuni Paesi europei e latino-americani che rifiutano un'estensione, in qualsiasi forma, di tale diritto. In ogni caso - ad oggi - sembra difficile immaginare uno scenario che veda tutti o quasi gli Stati membri africani appoggiare la risoluzione del G4. Certo la situazione rimane estremamente fluida e i prossimi giorni potrebbero essere decisivi; in particolare ove si dovesse giungere ad un voto sulla base di intese tra i G4 e l'Unione Africana, o almeno con una parte consistente dei Paesi africani.
Anche UfC - guidata dal Sottosegretario italiano Sen. Mantica - ha incontrato a New York i rappresentanti africani. E' stato possibile appurare come l'apparente distanza dei modelli proposti - l'uno con l'aumento dei membri permanenti; l'altro, che tale aumento esclude, quantomeno nella sua visione tradizionale - non deve fare ombra ai forti elementi di convergenza, in primis l'approccio regionale, per l'Africa determinante nell'orientare le decisioni dei suoi Stati membri. Anche in questo caso proseguiranno gli approfondimenti ed i contatti in vista di possibili compromessi.
Il G4 ha impostato tutta la sua strategia su una decisione, quantomeno sul primo progetto di risoluzione, da prendersi entro la fine di luglio. Ciò ha determinato il moltiplicarsi di interventi a livello bilaterale per acquisire i voti dei Paesi incerti, che possono rivelarsi determinanti. Pur dissentendo da questo approccio per così dire conflittuale alla riforma, l'Italia ha dovuto adeguarsi e sta conducendo una capillare campagna di informazione nei Paesi terzi, d'intesa con i partners del movimento UfC.
In questi giorni l'obiettivo primario è acquisire nuovi consensi alla nostra azione o, quantomeno, il disimpegno dei Paesi amici dalla proposta del G4. Un nostro successo consentirebbe di reimpostare su basi diverse - ma con il medesimo senso di urgenza - il dibattito sulla riforma, per lungo tempo di fatto bloccato dall'indisponibilità da parte dei Paesi che aspirano ad un seggio permanente a considerare qualsiasi altra opzione che non vedesse il pieno raggiungimento dei propri obiettivi.
Il rilancio del dibattito avverrebbe allora nell'ambito del Vertice di settembre che, alla luce delle diverse proposte ormai presentate, potrebbe chiedere di fare uno sforzo particolare, affidando un mandato specifico al Presidente dell'Assemblea Generale ed eventualmente dando anche apposite scadenze per raggiungere una soluzione di compromesso.
Noi riteniamo che le nostre proposte potrebbero costituire una buona base di partenza. Esse non sono necessariamente maggioritarie nella membership - anche se molti ed importanti sono i Paesi che si riconoscono nel movimento UfC - ma gli eventi di questi giorni sembrano dimostrare che nessuna proposta, a dispetto degli sforzi intrapresi e delle pressioni esercitate, puo' effettivamente dirsi maggioritaria.
In queste settimane il Governo non ha lesinato energie in un confronto estremamente difficile che richiede chiarezza di obiettivi, senso tattico a fronte di evoluzioni pressoché quotidiane ed una grande capacità di dialogo. Il Capo dello Stato si è impegnato personalmente nei suoi colloqui, nelle sue visite all'estero, nella sua corrispondenza. Altrettanto ha fatto il Presidente del Consiglio. Tutta la struttura della Farnesina, dai Sottosegretari alla rete diplomatica, si è attivata al meglio. Gli ambienti parlamentari - e di questo ve ne do atto con riconoscenza - hanno anch'essi dato un contributo essenziale.
I rischi di un esito non favorevole permangono seri, in una situazione in cui il voto anche di un singolo Paese può risultare determinante. Tuttavia, credo si possa oggi dire in coscienza che abbiamo fatto tutto ciò che doveva essere fatto; che i nostri obiettivi, non a caso condivisi da tutto lo spettro politico, erano, e sono, quelli giusti; che la nostra azione sul piano internazionale ha portato riconoscimenti che vanno al di là del mero dato numerico, pure in qualche misura confortante, dei sostegni che la nostra proposta di riforma ha ricevuto fino ad oggi.



 
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