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25 ago 2005TRIBUNA ITALIANA: Rapporti particolari tra l’Italia e l’Argentina ++di Marco Basti++

BUENOS AIRES - (Italia Estera) - Un collega ricorda spesso che, qualche tempo fa, quando si concluse la visita di una delegazione formata da viaggiatori dall’Italia e dirigenti della collettività a un gruppo di parlamentari argentini di origine italiana, uno dei senatori, disse a un suo collaboratore: “preparati che fra poco ci regaleranno un viaggetto in Italia”.
Il senatore in questione è uno dei più famosi membri della Camera Alta, ha alle spalle una lunghissima carriera politica ed è conosciuto per la sua simpatia e la vivacità delle sue risposte. E’ un amante dell’Italia ma, quando il governo argentino l’anno scorso ha presentato il suo piano di pagamento dei titoli in default, non solo lo ha appoggiato (come -si dice - abbia  fatto pure un importante esponente politico dell’opposizione italiana che l’anno scorso ha visitato le autorità argentine invitandole a non mollare), ma ha anche recitato in una intervista pubblicata su “La Nación” la vecchia litania degli italiani che in Argentina furono accolti a braccia aperte quando l’Italia non poteva dare da mangiare a tutti i suoi figli. E, a scanso di equivoci, nessuno può negare che l’Argentina ricevette a braccia aperte, in modo generoso - molto di più di quanto non fu in altri Paesi di accoglienza - tutti gli emigrati e specialmente gli italiani. Ma non si può negare nemmeno che quella generosità fu ampiamente ripagata con fecondo lavoro, con intelligenza, con l’apporto di conoscenze tecniche, artigianali, artistiche, specialmente da parte degli italiani, che arricchirono l’Argentina. In altre parole, come abbiamo detto in altre occasioni, tra due Paesi così uniti, tra due società affratellate in modo così intenso, ci sembra fuori luogo la conta di chi ha dato di più o di meno. Si tratta invece di promuovere rapporti più intensi, al di là delle questioni politiche che possono mettere fra parentesi una amicizia così antica e consolidata.
Sono stati questi i concetti ribaditi la settimana scorsa nel “Palacio San Martín” durante il “vino de honor” offerto in commiato
all’ambasciatore Roberto Nigido che conclude la sua missione in Argentina e torna a Roma per assumere l’importante incarico di consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica. Durante la riunione è stato sottolineato che, nonostante il problema del default argentino e delle difficoltà nei rapporti tra i due governi, è stata proficua l’azione svolta dall’amb. Nigido e frutto di quel lavoro sono una serie di accordi importanti per i due Paesi, così come per gli italiani residenti in Argentina.
Lo stesso giorno, giovedì scorso, il vicesegretario el CGIE per l’America Latina Luigi Pallaro, ha incontrato un gruppo di parlamentari di origine italiana, i quali secondo quanto segnala un comunicato  (che pubblichiamo a pagina 7) si sono trovati concordi nel dibattere con lui sui modi  “come due popoli fratelli possano coltivare la propria amicizia a prescindere dalle contingenze del momento politico”.
Coincidenza verificatasi anche il giorno prima, nell’incontro tra il ministro degli Esteri dell’Argentina Rafael Bielsa e il deputato italiano democratico di sinistra Gianni Pittella che ha visitato l’Argentina la settimana scorsa (vedi a pagina 7)
Quindi in tre ambienti diversi della politica, c’è stata coincidenza sulla necessità di costruire su tutte quelle cose, proprio tante, che uniscono i due Paesi, al di là delle crepe che possono mostrare i rapporti tra i due governi.
Anche noi come comunità, non possiamo non condividere tale atteggiamento e per questo la visita di Pallaro ai parlamentari argentini è un fatto positivo.
Ma ci sono alcuni aspetti sui quali bisognerebbe muoversi con le dovute cautele. Infatti, bisogna ricordare che nel novembre 2000, si svolse un Convegno a Roma di 398 parlamentari di origine italiana giunti da 27 Paesi. Tra tutti quei deputati e senatori, c’erano 89 argentini, il gruppo più numeroso. Già prima di allora era stato costituito in seno al Parlamento argentino un gruppo informale di Parlamentari amici dell’Italia e anche dopo non sono mancate, in seno al Parlamento argentino, espressioni inneggianti all’amicizia tra i due Paesi. Non bisogna dimenticare nemmeno il Trattato di relazione Associativa Particolare firmato tra l’Italia e l’Argentina nel mese di dicembre 1987, dagli allora presidente del Consiglio Italiano Giovanni Goria e presidente della Repubblica Argentina Raúl Alfonsin. Un contenitore dei più svariato settori nei quali esiste la possibilità di collaborazione fra i due Paesi: dalla cultura ai gemellaggi, dalla ricerca scientifica alla cooperazione economica, dalle facilitazioni consolari ai rapporti politici.
Ma è giusto chiedersi:  Se c’è una così forte, costante e influente presenza italiana in Argentina, se ci sono  rapporti così antichi, intensi e privilegiati fra i due Paesi,  se un numero così alto di politici argentini è discendente di italiani e se ne vanta (almeno a parole) e se ci sono anche gli strumenti per lavorare ad un approfondimento delle relazioni,,  perché i frutti di questi rapporti non sono più copiosi?
C’è da chiedersi perché, se ci sono tutte quelle buone condizioni di cui abbiamo parlato, durante due anni c’è stato il gelo fra i due governi? E perché anche prima, non è mai stato possibile ottenere una legge che consentisse la partecipazione al voto nelle elezioni argentine alle migliaia di italiani residenti da tanti anni nel Paese, nonostante i progetti presentati a suo tempo? E perché non si è riusciti ad ottenere una legge per l’insegnamento dell’italiano nelle scuole argentine? E perché non si riesce a far capire in Italia che nell’impostare una politica culturale verso l’Argentina bisogna ricordare la forte presenza italiana nel Paese?
Probabilmente la nostra partecipazione alle elezioni politiche italiane, con i nostri candidati, aiuterà  la politica dei due Paesi a conoscere meglio la realtà e le possibilità di sviluppare nuovi e migliori rapporti. In questo senso i nostri parlamentari dovrebbero partire con il vantaggio di conoscere le due realtà.
Proprio per questo dovranno stare attenti agli entusiasmi facili, alle manate sulle spalle, agli impegni presi con troppa disinvoltura, alle promesse di appoggio in cambio di appoggi futuri. L’impegno a rappresentarci - come sanno bene i nostri candidati - comporta anche la fedeltà all’operosa presenza degli italiani qui emigrati da quasi due secoli e ai valori con i quali essi si sono distinti e per cui furono e sono apprezzati nelle società di accoglienza. Non saremmo felici se per ottenere la rappresentanza dovessimo rinunciare ad essi.
                                                              MARCO BASTI LA Tribuna Italiana



 
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