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05 set 2005Celebrato a Mattmark, il 40^ anniversario della tragedia

TREMAGLIA: “IL SACRIFICIO DEI NOSTRI CONNAZIONALI HA CONTRIBUITO ALLA COSTRUZIONE DELL’ EUROPA”  - L’INTERVENTO DI FRANCO NARDUCCI
MATTMARK -(Italia Estera) -  Sono trascorsi 40 anni da una delle sciagure più tragiche della storia dell’emigrazione degli Italiani nel Mondo. Il 30 agosto 1965 un milione di metri cubi di seracchi si staccarono dal ghiacciaio dell’Allalin e precipitarono a valle travolgendo i prefabbricati dove lavoravano gli operai impegnati nella costruzione della diga di Mattmark, nella valle di Saas. Le vittime della frana del ghiacciaio erano tutti operai, di questi ben 56 erano italiani, 27 svizzeri e 5 di altre nazionalità.
Per ricordare il Sacrificio di questi nostri connazionali il Ministro per gli Italiani nel Mondo Mirko Tremaglia si è recato oggi a Mattmark  dove, con la deposizione di una corona d’alloro sul luogo del disastro, è stata inaugurata una lapide commemorativa.
 “Quest’Europa è stata costruita anche col Sacrificio dei nostri morti”. Così, con viva commozione, il Ministro per gli Italiani nel Mondo Mirko Tremaglia ha ricordato la tragedia di Mattmark. Sono trascorsi 40 anni da una delle sciagure più tragiche della storia dell’emigrazione italiana. “Non possiamo dimenticare – ha detto Tremaglia - il sacrificio di tutti quei nostri connazionali che sono morti in tragedie simili.  Lo dobbiamo ricordare perché questa Europa è stata costruita anche da loro”.   Tremaglia si è recato a Mattmark,  dove ha deposto una corona d’alloro sul luogo del disastro ed ha inaugurato una lapide commemorativa, che è stata benedetta da Mons. Norbert Brunner Vescovo di Sitten e da Mons. Giuseppe Andrich Vescovo di Belluno-Feltre, la cui comunità ha contato il maggior numero di vittime:  addirittura 17.  “Le baracche in cui vivevano gli operai – ricorda uno dei sopravvissuti – furono costruite proprio sotto il ghiacciaio. La notte sentivamo il rumore sordo causato dall’assestamento dei blocchi di ghiaccio”. “Quelle baracche in cui vivevamo – aggiunge – furono distrutte dalla fatalità, ma anche dalla mancanza delle più elementari norme di sicurezza”. Il Ministro Tremaglia, primo promotore dell’istituzione della Giornata Nazionale del Sacrificio del Lavoro Italiano nel Mondo proclamata dal Governo nel 2001 per l’8 agosto, ha ricordato l’importanza della ricorrenza “affinché la sofferenza e il dolore che hanno colpito tanti nostri emigrati, e che sono stati il seme su cui sono germogliate la stima e l’ammirazione di tutto il mondo, non siano dimenticati”. “La nostra storia che è fatta anche di emigrazione – ha concluso Tremaglia – ha subìto, durante l’ultimo secolo,  violenze e ingiustizie che spesso, come nel caso di Mattmark, i nostri italiani hanno pagato con il sangue”. 
         Alla commemorazione erano presenti, tra gli altri, l’Ambasciatore d’Italia a Berna Pier Benedetto Francese,  l’Assessore all’Emigrazione della regione Veneto Oscar De Bona, il Presidente del Comites Vallesano Domenico Mesiano e Franco Narducci Segretario generale del CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all'Estero).  Questo il suo intervento:
Siamo qui per ricordare un evento tragico che 40 anni fa, il 30 agosto del 1965, spezzò la vita di 88 persone e sconvolse l'esistenza di altrettante famiglie. Siamo qui per testimoniare affetto e riconoscenza profonda a quegli uomini, alla loro storia di vita, al loro sacrificio e a quello di tanti altri uomini che hanno pagato con la vita un tributo altissimo al benessere delle società in cui viviamo. Siamo qui per testimoniare riconoscenza ai lavoratori sopravvissuti e alle tantissime persone che si prodigarono instancabilmente giorno e notte, con mezzi meccanici e con le nude mani, per il recupero delle salme. Siamo qui per ringraziare le persone che in quei giorni terribili fecero di tutto per aiutare i parenti delle vittime, accorsi da ogni parte per avere notizie dei propri cari.
Porto con commozione profonda il saluto del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero e desidero ringraziare il Comitato Organizzatore e il Comites del Vallese, che con il loro impegno hanno reso possibile la commemorazione odierna. Un sentito grazie lo merita l'Associazione dei Bellunesi nel Mondo per il contributo impagabile che ha dato alla realizzazione di questa commemorazione, come pure alle autorità, ai sindaci e ai connazionali accorsi così numerosi dalla Provincia di Belluno e da altre Regioni dell'Italia su questo luogo del dolore, per onorare con la loro presenza il ricordo di quella tragedia.
 
Il 30 agosto 1965 appartiene alle pagine più dolorose della storia del lavoro italiano nel mondo, costellata di molte tragedie funeste che di volta in volta hanno gettato nel lutto e nella disperazione intere famiglie: povera gente emigrata per sfuggire alla miseria e per cercare un futuro migliore. La terrificante massa bianca che si staccò dalla punta del ghiacciaio Allalin  - 600'000 metri cubi, l'equivalente di 1'500 case unifamiliari - si riversò come una furia distruttrice sul cantiere e sui lavoratori impegnati nella costruzione della diga, vittime senza scampo di un destino crudele. La dimensione spaventosa di quanto accadde si coglie nella testimonianza di Ilario Bagnariol, un friulano scampato alla tragedia: "l'enorme massa di ghiaccio scese dall'alto ad una velocità spaventosa, accompagnata da un boato tremendo, travolgendo uomini, macchine e baracche, arrestandosi infine in un silenzio assordante. L'ambiente circostante era improvvisamente irriconoscibile, surreale ".
 
Sotto l'odioso lenzuolo bianco  giacevano i corpi di 88 persone, dei quali 56 erano cittadini italiani. Padri di famiglia e tantissimi giovani: nell'elenco dei caduti italiani figuravano 28 persone di età inferiore a 30 anni. Ma l'elenco era indicativo anche di quella Italia che negli anni '60 d'un tratto cambiò radicalmente le rotte  dell'emigrazione, riversandosi fiduciosa nella comoda Europa: non più distanze oceaniche con la Madre Patria ma in particolare Germania e Svizzera, che grazie alla vicinanza consentivano oltretutto regolari rientri al Paese d'origine. Dal Nord al Sud dell'Italia, ben 12 Regioni italiane figuravano nell'elenco dei caduti: Veneto (di cui 17 bellunesi, la provincia più colpita), Calabria, Trentino, Friuli, Emilia, Abruzzo, Campania, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Molise.
La Svizzera di quegli anni manteneva fede alle aspettative, dispensando lavoro e uno stipendio sicuro, ma anche sfruttamento, baracche e negazione dei diritti più elementari come gli assegni familiari ai lavoratori stagionali che avevano i figli in Italia, o la possibilità di cambiare datore di lavoro. Ma ai cittadini immigrati pesava soprattutto il rifiuto dello straniero e il dilagare dei sentimenti xenofobi in larghi strati della popolazione. Sentimenti che avevano spinto il Consiglio Federale, proprio nel 1965, a decretare la chiusura delle frontiere e l'arresto immediato delle persone senza un permesso di residenza, con conseguente espulsione di migliaia di emigrati sprovvisti dei requisiti fissati dalla legge.
Anche a 40 anni da quella catastrofe, sono ancora tanti gli interrogativi senza risposta. Non si comprendono, ad esempio, le scelte per la dislocazione del cantiere e relative infrastrutture, allestite in un punto pericolosamente esposto, appaiono lacunosi e insufficienti gli studi geologici e glaciolocigi effettuati in fase di progettazione della diga e non esisteva un sufficiente sistema di monitoraggio del ghiacciaio. E soprattutto grida ancora vendetta la scandalosa sentenza del tribunale che assolse i responsabili delle imprese di costruzione e addebitò i costi processuali alle famiglie dei denuncianti.
 
Come nelle miniere, nella costruzione dei tunnel e altre grandi opere, la "fatalità" rappresentava una costante ammessa a preventivo. A farne le spese erano sempre i poveri diavoli occupati nei lavori più duri e rischiosi. Da un rapporto giornaliero del cantiere di Mattmark datato 4 agosto 1964 emerge che su un totale di 626 occupati a vario livello, 12 erano infortunati e 14 malati; cifre che testimoniano la pericolosità e la durezza del lavoro svolto. Emerge inoltre che dei 626 effettivi totali, ben 418 erano italiani: anche questa dimensione numerica è indicativa del ruolo svolto dagli immigrati per costruire la Svizzera altamente sviluppata che si è affermata grazie anche al loro sacrificio. Ora che gli italiani e l'italianità sono fattori stabili della Confederazione elvetica, dobbiamo onorare il sacrificio dei lavoratori italiani che si compì a Mattmark traendone per quanto possibile l'insegnamento più autentico: rispetto dei migranti, parità di diritti e opportunità, accettazione del diverso, cultura della civile convivenza, lotta ferrea al lavoro nero e al mancato rispetto delle misure di sicurezza.
 
Mattmark è una ferita ancora aperta per le famiglie che videro partire i loro cari e non li hanno più visti tornare. Ricordare la loro storia e quella dei milioni di concittadini emigrati in ogni parte del mondo, significa aiutare l'Italia di oggi a confrontarsi consapevolmente con i grandi problemi del lavoro, dei diritti, dell'accoglienza e dell'integrazione delle nuove migrazioni, ma anche con i rischi e le complessità della globalizzazione.
L'Italia ha un grande debito storico nei confronti dei suoi emigrati, che deve onorare garantendo a tutti gli stessi diritti di cittadinanza e di tutela, a partire da quelle realtà dove molti connazionali soffrono le conseguenze di pesanti processi di crisi economica e sociale. Ma anche ricostruendo con coraggio le traiettorie della diaspora italiana nel mondo e respingendo la pseudocultura che per anni ha trattato l'emigrazione come una pagina triste e disonorevole della storia italiana, la nostra storia. È una precondizione indispensabile per rivalutare e coinvolgere nello sviluppo del nostro Paese la capillare rete di presenza nel mondo che amiamo definire il "Sistema Italia" all'estero.
Il prezzo in vite umane tributato al progresso dai lavoratori immigrati e svizzeri a Mattmark, rappresenta un contributo fondamentale alla costruzione di una società del lavoro centrata sui valori della partecipazione, della giustizia sociale, della sicurezza e salvaguardia della salute.
Di fronte alle sfide che attendono il nostro continente, dovremmo forse richiamare l’esperienza di quella tragedia per ribadire l’uguaglianza dei diritti su cui è stata costruita l’Europa, diritti che collocano la libera circolazione delle persone a condizione essenziale per una concreta integrazione sociale e politica dei Paesi europei, nel pieno rispetto delle regole e delle leggi. Dobbiamo dirlo a voce alta soprattutto a quei politici che in questi giorni e in vista della votazione popolare del 25 settembre sull'estensione della libera circolazione delle persone ai cittadini dei nuovi Stati membri dell'UE, ricorrono ad argomenti e slogan carichi di pregiudizi e odiose falsità contro i cittadini stranieri.
 
Il Consiglio Generale degli Italiani all'Estero, s'inchina davanti al sacrificio degli 88 lavoratori deceduti a Mattmark ed esprime profondo cordoglio ai loro familiari.



 
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