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27 set 2005Occorre una svolta nella presenza delle donne in migrazione. L'intervento di Franco Narducci al convegno di Friburgo

ROMA - (Italia Estera) - "La presenza delle donne nel mondo dell'associazionismo e degli organismi di rappresentanza è un valore che deve essere difeso con forza, e bisogna dare continuità ad un dibattito  che s’infiamma e si spegne con la stessa rapidità con cui si era acceso". Franco Narducci non si è nascosto dietro alle mezze parole e alle frasi mozze, intervenendo al Convegno organizzato dal coordinamento donne sabato scorso a Friburgo per ricordare a 50 anni di distanza lo storico accordo tra Italia e Germania per il reclutamento della manodopera destinata al mercato del lavoro tedesco. Un convegno che ha voluto essere un omaggio agli uomini e donne italiani che a lungo furono male accolti, e che tuttavia hanno contribuito fortemente alla crescita della Germania.
Occorre una svolta per cambiare il rapporto di subalternità che troppo spesso penalizza le donne nell’associazionismo italiano all’estero e peggio ancora negli organismi di rappresentanza. Un grido d'allarme che nasce dalla consapevolezza che vi è un deficit di rappresentanza delle donne e soprattutto si avverte la mancanza del contributo del pensiero delle donne, che non può essere delegato in alcun modo alla presenza maschile.
"Si deve porre rimedio alle disparità macroscopiche che si registrano in termini di parità e partecipazione femminile nei luoghi decisionali delle associazioni, dei Comites, del CGIE, delle consulte regionali e in generale degli organismi rappresentativi che le comunità italiane si sono date", ha sostenuto Narducci. Disparità che si riscontrano con intensità drammatica nel Consiglio Generale degli Italiani all’Estero: con le elezioni del 2004 che hanno avviato il terzo mandato, la già esigua presenza delle donne nel CGIE è diminuita, passando da 12 a 8 consiglieri. E proprio in Germania è stata ripristinata la rappresentanza maschile unica, a scapito delle tre donne elette nel precedente mandato.
Eppure, nell’ultimo cinquantennio le donne hanno vissuto un avanzamento culturale e di impegno nella volontà di affermarsi superiore a quello dei maschi, ma tutto ciò non trova riscontro nel mondo del lavoro, dove il grado di occupazione delle donne è inferiore a quello degli uomini e a livello dirigenziale è estremamente basso. La presenza delle donne nei livelli decisionali politici - nonostante i miglioramenti degli ultimi anni - è in pratica irrilevante, soprattutto se si considera la percentuale di donne elette nei Parlamenti europei rispetto all’elettorato femminile potenziale, che quasi ovunque supera il 51 percento.
Dall'inchiesta "I rapporti di genere nel non-profit" condotta da "Volontari per lo sviluppo", su un campione di 68 organizzazioni non governative (ong) italiane, emerge che, sebbene la maggioranza degli operatori della solidarietà internazionale sia donna, meno del 30% ha ruoli di potere. 17 associazioni su 68 intervistate hanno una presidente donna e solamente il 33% di donne siede nei consigli di amministrazione. Sono dati che rispecchiano da vicino la situazione generale della società italiana, ma che diventano preoccupanti se si considera che si tratta di organizzazioni impegnate in progetti di sostegno in varie parti del mondo.
"E le alternative, a questo punto, quali sono?" si è chiesto Franco Narducci.  "Cosa possiamo fare e su quale pedale dobbiamo agire affinché non si riproduca anche nelle associazioni del volontariato il quadro di stereotipi della donna-segretaria o della donna-manager - possibilmente single – che rileviamo in abbondanza nella società del lavoro? È soltanto un problema di rappresentanza politica adeguata, o vi è dell’altro?"
La migliore rappresentanza politica da sola non è sufficiente, ha sottolineato Narducci, occorre anzitutto un cambiamento della cultura globale che nega alle donne parità di opportunità e pari diritti. In molti Paesi le donne guadagnano e possiedono meno degli uomini e non hanno pari accesso all’istruzione, al lavoro, alle cure mediche e alle tutele legali. La rappresentanza politica adeguata è dunque fondamentale per l’emanazione di leggi che tutelano i diritti sopra menzionati, ma non basta. Si devono sperimentare rapporti più equilibrati tra uomini e donne, e nuovi modi di lavorare per tutti, perché la famiglia è fatta anche di padri.  Anche in Paesi come la Germania e la Svizzera, che vantano una consolidata tradizione sotto il profilo dell’applicazione delle leggi emanate, c’è tantissimo lavoro da fare per realizzare la parità salariale o le pari opportunità di accesso  ai settori della tecnica, dell’economia, dell’informatica e delle scuole universitarie professionali.
L’emigrazione con il suo carico di problemi ha pesato sugli uomini e in misura sicuramente maggiore sulle donne, che oltre a svolgere contemporaneamente un doppio o addirittura triplo ruolo, con grande sacrificio e impegno, come casalinghe nella loro identità di madri e moglie, come lavoratrici quotidianamente fuori dalle mura domestiche e come mediatrici culturali verso il Paese di accoglienza, un ruolo storicamente affidato alla saggezza delle donne per intessere relazioni sociali e sostenere l’inserimento scolastico dei figli. Proprio perché le donne hanno la capacità di svolgere questo sottile e fondamentale lavoro di cucitura di modelli appartenenti a culture, comportamenti e concezioni di mondi diversi.
Narducci ha terminato l'intervento ricordando che "Le donne della diaspora italiana nel mondo, le donne delle prime emigrazioni e dell’esodo di massa dall’Italia sono state le protagoniste di una storia eroica e dolorosa, ed hanno tracciato il cammino del miglioramento delle nostre comunità e della condizione femminile; a quelle donne dobbiamo esprimere un doveroso ringraziamento e testimoniare profondo rispetto. Ora che quella storia sofferta e dolorosa è in gran parte terminata, e giustamente parliamo di uomini e donne italiani nel mondo perché i processi d’integrazione hanno ridotto le marginalità che hanno caratterizzato l’esistenza dei nostri genitori e progenitori ed hanno portato all’affermazione sociale e professionale  delle generazioni giovani, ora ci rendiamo conto che quelle donne hanno trovato spesso anche il tempo e la forza di dedicarsi ad attività di volontariato, impegnandosi così socialmente e politicamente".
Se a otto anni dallo storico seminario “Donne in emigrazione” promosso dal CGIE, ancora si parla di ruoli, di impegno nell’associazionismo e negli organismi di rappresentanza, di opportunità offerte e non riconosciute, significa che ancora esiste, nonostante gli indubbi progressi fatti, il "problema" donna in emigrazione. Ma proprio perché siamo coscienti e consapevoli della “risorsa donna”, dobbiamo lavorare con serietà per far avanzare la pari opportunità, perché una società senza una significativa presenza femminile, non sarebbe più legittimata, né rappresentativa.
 
 



 
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