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21 nov 2005LA STAMPA di Torino intervista Fini, il suo primo compleanno alla Farnesina

Il Vicepremier di fronte alla scadenze più complesse per la politica estera del Paese
 
Servizio di Emanuele Novazio
TORINO- -(Italia Estera) - Il vicepremier e Ministro degli Esteri Gianfranco Fini  ha concesso una intervista alla Stampa di Torino in concomitanza con il suo primo compleanno alla Farnesina. Ecco il testo:
D.Presidente Fini, il suo primo compleanno alla Farnesina coincide con una singolare accelerazione sul fronte iracheno. Blair possibile lasciare entro fine 2006. Ce ne andremo anche noi fra un anno?
R. «Il peggio è alle spalle. E' in atto una forte accelerazione del processo politico, che culminerà nelle elezioni di dicembre e con la formazione di un governo iracheno legittimo nei primi mesi dell'anno prossimo. Tutto questo in un rinnovato quadro di sostegno internazionale a seguito della risoluzione 1546. Se a questo si affiancherà una maggiore capacità degli iracheni di garantire la sicurezza, il 2006 sarà l'anno in cui l'Iraq tornerà agli iracheni. Naturalmente dopo una decisione congiunta, presa insieme agli iracheni e agli altri Paesi che hanno truppe».
D. Il presidente Talabani sostiene che a fine 2006 le forze irachene saranno in grado di garantire la sicurezza nelle province controllate da italiani e britannici. C'è da credergli?”
R. «Penso che Talabani parli a ragion veduta».
D. Il centro sinistra condivide. Nell'intervista alla Stampa Fassino è stato chiaro. E dopo aver incontrato i leader dell'opposizione, Talabani ha detto di avere “la promessa” che se vinceranno si atterranno a un calendario di ritiro.
R.«Se Prodi e Fassino dovessero vincere, la loro volontà si scontrerebbe con una volontà molto diversa, espressa con altrettanta chiarezza da Bertinotti e Pecoraro Scanio: la via che seguì Zapatero, “Tutti a casa senza condizioni”».
 
D. Pensa che Fassino e Prodi non avrebbero la forza politica per convincere Bertinotti?
R. «Penso che ci sia una contraddizione evidente: su questioni così delicate non si possono avere due linee. Quello che si dice oggi può essere tatticamente comprensibile perché siamo in campagna elettorale, ma il nodo verrà al pettine subito dopo le elezioni: il 30 giugno si dovrà decidere se rifinanziare la missione. Non credo sarà agevole per Prodi e Fassino dire: “Abbiamo un calendario per il ritiro”, perché l'ala più radicale della sinistra chiederà coerenza con quel che ha detto in campagna elettorale: “Ritiro subito”».
D. Nell'intervista alla Stampa il presidente Casini ha invitato maggioranza e opposizione a rendere un impegno comune sul ritiro prima delle elezioni: concorda?
R. « La maggioranza non ha bisogno dell'invito, nel senso che non esistono valutazioni diverse al suo interno. Non ho visto invece la risposta dell'opposizione : anzi ne ho viste due. Il che conferma la contraddizione del contro sinistra, che non si risolve con artifici verbali né con fumisterie lessicali».
D. I rischi per gli italiani restano alti. Secondo un comunicato dell'esercito Usa, martedì scorso è stato sventato un attacco alla nostra ambasciata a Baghdad.
R. « In realtà non si può parlare di attacco sventato. Sono stati fatti degli arresti, che dimostrano la qualità del lavoro di addestramento svolto dalla forza multinazionale. Ma al momento non risulta un collegamento diretto».
D. Qualcosa si muove anche negli Usa. La Camera ha bocciato il ritiro immediato, ma la Difesa raccomanda la partenza delle prime brigate all'inizio dell'anno prossimo. Anche uomini vicini a Bush come il politologo Luttwak dicono: «Ce ne dobbiamo andare perché si può vincere la guerriglia ma non l'insorgenza». Tutto questo non le fa nascere il dubbio di avere commesso un errore di valutazione?
R. «Ci sono stati errori: per esempio sciogliendo d'autorità il partito Baath si è alimentato il terrorismo. Ma se si paragona la condizione irachena dopo il conflitto con quella attuale, si vede un percorso pieno di lutti e sofferenza al termine del quale si comincia però a percepire la luce. Gli stessi americani se ne rendono conto, e cominciano a discutere del ritiro, Ma come dice Bush prima bisogna portare a termine il lavoro »
D. Si parla di ritiro in vista magari delle elezioni di medio termine?
R. « No, c'è la volontà di una concreta exit strategy. Gli americani non vogliono sottomettere l'Iraq. Si sono assunti l'onere di una guerra che ha fatto cadere un regime criminale e poi, insieme a noi, quello di aiutare gli iracheni a creare condizioni di Libertà senza le quali non ci sarà mai la pace».
D. Sull'uso del fosforo bianco a Falluja ci sono state contraddizioni americane e britanniche, ma un anonimo funzionario del Pentagono ha ammesso la probabilità di vittime civili. Farà un passo formale per sollecitare un'indagine seria?
R. «Ufficialmente le autorità americane smentiscono. Se emergerà qualcosa di più sostanzioso di immagini tv, chiederemo spiegazioni. Alleati non significa essere sudditi, come ha dimostrato il nostro disaccordo sulla vicenda Calipari».
D. In quest'anno alla guida della Farnesina lei ha ridefinito il concetto di interesse nazionale, correggendo in senso europeista la politica di Berlusconi. Il vertice sul bilancio comunitario, nel quale si affronteranno 25 egoismi nazionali, la metterà alla prova.
R. «Premesso che trovo ingiusto accusare Berlusconi di aver sacrificato la storica collocazione europeista dell'Italia, l'Europa che immagino è un'Europa che insieme agli Stati Uniti si assume responsabilità sulla scena internazionale. Nell'Unione europea ho portato l'esperienza maturata alla Convenzione. E il voto francese ha chiarito che non si può dar vita a una politica europeista se è lesiva dell'interesse nazionale. Sul bilancio i pilastri del nostro interesse nazionale sono due: i fondi di coesione per le nostre regioni del Sud non possono essere decurtati oltre misura - non al di sotto dei 23,9 miliardi assegnati nella proposta lussemburghese di giugno - e Londra deve mettere in discussione il privilegio del rimborso, ottenuto perché contribuente netto dell'Ue. Anche noi lo siamo: se non fosse messo sotto controllo, il "rebate" britannico che oggi totalizza 5 miliardi di euro raggiungerebbe gli 8 miliardi annui nel periodo 2007-2013, e l'Italia dovrebbe contribuire per un quarto di quell'ammontare».
D. Non crede che l'opinione pubblica trovi conferma al proprio euroscetticismo quando sente capi di governo attribuire all'Europa la colpa dei guai di casa?
R. «Sono convinto che non ci siano guai che ci derivano dall'Europa, al contrario. Ma questo non può signifìcare un europeismo di maniera, astratto. Bisogna saper trovare il giusto punto di equilibrio fra interesse nazionale e strategia comune. Un compito arduo, in un'Europa a 25 che prevede il voto unanime in molti dossier. La storia dell'integrazione europea è storia di crisi da cui si è usciti, ma questa crisi è diversa, di progetto».
D. Non crede che i disordini in Val di Susa contro la ferrovia ad alta velocità, il successo dell'ex partito comunista di Honecker in Germania e la diffusa opposizione alla direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi ne siano un esempio, segnali che l'Europa ha paura del futuro?
R. «Sull'Europa pesano il problema demografico, le garanzie sociali alle quali non intende rinunciare, i flussi migratori che rischiano di metterne in discussione l'identità. Ma la risposta a quest' ansia è nel rilancio del progetto europeista, non nella tentazione di chiudersi nel focolare di casa».
D. A proposito di identità: a Londra è in crisi il modello multiculturale, a Parigi il modello integrazionista. Che fare?
R. «E' un problema che rischia di essere il problema italiano del futuro prossimo. Una grande sfida culturale che riguarda tutta Europa. L'unica via è aiutare quei popoli che conoscono la tragedia dell'immigrazione. Aiutarli a casa loro».
D. Lei si è molto speso in favore di Israele. contraddicendo la tradizionale posizione filo-araba della destra italiana.
R. Non ho mal avuto dubbi sull'esistenza di due popoli e due Stati, ma non credo di avere innovato la politica italiana in Medio Oriente: Israele ha guardato con interesse all'Italia quando, durante la nostra presidenza dell' Ue, Frattini convinse i partner a inserire Hamas nella lista nera del terrorismo. Siamo riusciti a portare anche l'Ue a un maggior equilibrio nella valutazione della crisi mediorientale»
D. Cosa pensa della condanna allo storico Irving?
R. «Idee aberranti, ma arrestarlo può significare fare il suo gioco».
D. Lei voleva partecipare alla fiaccolata davanti all'ambasciata iraniana ma ha rinunciato, con sollievo di molte cariche istituzionali. Non crede che la sua presenza avrebbe danneggiato il Paese?
R. «Ritenevo giusto andarci e mi è costato rinunciare. Ma avere responsabilità istituzionali significa anteporre la ragione di Stato al legittimo interesse personale. Quando ho visto che l'Iran attribuiva alla mia partecipazione un aspetto simbolico eccessivo, non ho voluto fornire pretesti. La polemica sulla mia presenza mancata ha fatto capire a tutti quello che il ministro degli Esteri italiano pensava delle parole del Presidente iraniano».
D. L'Italia non chiude le porte all'Iran?
R. «No, ma l'onere della prova è suo: deve dare garanzie di trasparenza sulla questione nucleare, se vuole esercitare il ruolo di potenza regionale che gli compete e deve agire nella direzione auspicata dall'Occidente per la stabilizzazione dell'Iraq, nella questione siro-libanese e in quella israelo-palestinese».
D. Alla vigilia del suo arrivo in Cina, Bush ha fatto un discorso durissimo sul mancato rispetto dei diritti umani il governo italiano è stato accusato di adottare una linea più morbida con Cina e Russia. Un errore?
R.«L'Italia e l'Ue non transigono sui diritti umani. Bisogna fare pressioni sui vertici e rafforzare la democrazia partendo dal basso. Ma anche fare i conti con la realtà: in certi Paesi non esiste leadership alternativa e c'è rischio di ulteriori involuzioni autoritarie».
D. Oltre a quello di danneggiare interessi economici italiani.
R. «Tutelare i diritti umani è più agevole se si unisce il ruolo economico alla fermezza delle posizioni. La presenza economica è una leva in più per rafforzare la moral suasion».



 
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