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30 gen 2008“Forse un nuovo girone dell’inferno per gli spergiuri e i traditori politici”

un articolo   del senatore Randazzo sui quotidiani d’Australia “Il Globo” e “La Fiamma”
 
ROMA, 30 GEN. (Italia Estera) -  I quotidiani d’Australia “Il Globo” di Melbourne e “La Fiamma” di Sydney di lunedì  pubblicano,  sotto il titolo “I venti mesi di Romano Prodi”, un lungo articolo del senatore Nino Randazzo (PD-L’Ulivo), eletto nella ripartizione Africa-Asia-Oceania-Antartide della circoscrizione Estero, già autorevole direttore di quelle testate Lo riproponiamo qui per i nostri lettori
 
MELBOURNE - Diciamo pure che la crisi è stata sempre dietro l’angolo, col risicato margine di un-tre voti al Senato, per tutti i diciotto mesi del governo Prodi, che dal suo avvio nel maggio 2006 è il 61.mo in 60 anni di Repubblica. Ma ogni prova, provocata o dall’ostruzionismo dell’opposizione o dalla perdita di qualche pezzo della maggioranza o dai passeggeri ricattucci di minuscole formazioni radicali, i cosiddetti “nani”, aveva registrato la resistenza, la capacità di contraccolpo, del centrosinistra, una coalizione di undici partiti,senza precedenti negli annali della Repubblica italiana e delle democrazie del mondo. Fino a giovedì notte, 24 gennaio, quando il governo, quarantotto ore dopo un ampio voto di fiducia alla Camera dei deputati, è stato sfiduciato nell’aula del Senato con 161 a 156 voti, e Prodi è salito al Quirinale per presentare le dimissioni al presidente Napolitano. Il quale sta ora conducendo le consultazioni di rito per decidere se e a chi affidare l’incarico di un nuovo esecutivo provvisorio, per riforme urgenti e indispensabili, prima fra tutte quella della legge elettorale, o sciogliere le Camere e andare subito (in aprile-maggio) ad elezioni anticipate.

Questi i termini minimi, essenziali della situazione al momento. Nella pausa d’attesa, sulla cassa di risonanza dei mezzi d’informazione di massa, la fiumana di considerazioni e commenti in seno all’opinione pubblica più informata e interessata, dove ognuno sembra avere a seconda delle tendenze politiche e ideologiche una propria personale sfera di cristallo per leggervi gli esiti imminenti, si snoda in prevalenza su quattro direttive: il come e il perché del crollo del filo di resistenza; valutazioni di un anno e mezzo di governo Prodi; i possibili tempi, sbocchi e modalità istituzionali della crisi; l’evenienza e le previsioni dei risultati di una consultazione popolare con l’attuale legge elettorale e la prospettiva di un nuovo governo di centrodestra targato “Berlusconi IV”. Il resto è tutto un polverone di polemiche e speculazioni, dove l’uomo della strada finisce per capirci sempre meno e si predispone a votare “pro” o “contro” senza andare tanto per il sottile o ad astenersi sulla gigantesca ondata nazionale dell’anti-politica.

Come e perché è venuta meno la resistenza del centrosinistra – Il governo Prodi si fondava per sua natura sull’ambizioso (forse fin troppo) programma di raggruppare senza perdita d’identità per la prima volta nella storia italiana le forze democratiche cattoliche e laiche con criteri e obiettivi di liberalizzazione ed equità amministrativa e rigore economico, e finalità di partecipazione unitaria ad un bene comune. Pertanto si reggeva su un impegno liuberamentre sottoscritto da ciascun componente la coalizione, su un impegno equivalente a una solenne promessa di lealtà, su quella che una volta si chiamava “parola d’onore”. Al Senato, dove faceva perno la tenuta del governo, qualcuno si scollò subito, a cominciare da quel Sergio De Gregorio che, eletto con l’Italia dei Valori nel centrosinistra e sottoposto a indagine giudiziaria, passò armi e bagagli al centrodestra portando in dote al Cavaliere un suo personalissimo movimento pomposamente denominato “Italiani nel mondo” (lui che gli italiani nel mondo li conosce come chiunque può conoscere i marziani). Passarono a votare con il centrodestra anche i due irriducibili veterocomunisti Turigliatto e Rossi. Erano ancora perdite sostenibili, compensate da qualche passaggio certo (Follini) o ballerino (Pallaro) alle file della maggioranza.

L’incrinatura si determinò, la vera crisi cominciò, la “parola d’onore” fu oscenamente sacrificata sugli altarini di inconfessati personalismi e interessi di casta quando: l’ex ministro berlusconiano ed ex presidente del Consiglio anti-berlusconiano Lamberto Dini cambiò ancora una volta casacca e insieme ad altri due senatori si smarcò dalla maggioranza; un emarginato vecchio ex dirigente della Margherita, Bordon, si trascinò un altro paio di senatori in un suo gruppuscolo dissidente; l’ex missino Fisichella rinunciò al suo volontario collocamento nel centrosinistra. Infine, il colpo di grazia del senatore e ministro di Grazia e Giustizia, Clemente Mastella, “reuccio” di Ceppaloni nel beneventano, che, insieme ad un altro dei tre senatori dell’Udeur-Campanile vota contro il governo di cui ha fatto parte e a tutti gli effetti si rigetta nelle braccia del Cavaliere (nel cui governo era stato ministro nel ’94), in segno di protesta per gli arresti domiciliari della moglie, presidente del Consiglio regionale della Campania, e di due dozzine di esponenti del partito accusati di corruzione e concussione, oltre che per indagini su lui stesso di una magistratura che minaccerebbe di mettere a rischio il locale feudo politico mastelliano. Il terzo senatore ormai ex Udeur, Cusumano, paga la fedeltà alla ”parola d’onore” al centrosinistra con un bestiale attacco fisico e il trasporto in barella dall’aula del Senato trasformata nel settore di centrodestra in bettola-canile da urla, insulti, sputi, corna e gestualità di dito su grilletto di pistola, stappar di bottiglie di spumante e ingoiare di fette di mortadella. Forse l’inferno sta aggiungendo un girone per gli spergiuri e i traditori politici.

Qualche valutazione del breve governo Prodi – Diciotto mesi sul filo di lana al Senato. Eppure, più vere riforme e risultati positivi di quanto il ricompattato trio di centrodestra Forza Italia (o Popolo della libertà)-Alleanza Nazionale-Lega Nord non sia disposto ad ammettere o abbia realizzato nei precedenti cinque anni al potere. Lo stesso presidente del Consiglio che dieci anni fa portò l’Italia nell’area dell’Euro ha stavolta, dopo la quinquennale leadership dell’Unione Europea, guidato un governo che ha salvato l’Italia dall’espulsione dall’unione monetaria, e salvata da un destino argentino, con la messa in ordine dei conti e la riduzione della spesa pubblica, la ridistribuzione di parte dell’aumentato gettito fiscale (finalmente s’é capito che tutti debbono pagare le tasse) tra le fasce più deboli della popolazione, e un’altra parte a turare qualche buci dello spaventoso debito pubblico. Nel mondo del lavoro, da anni oppresso dai più bassi livelli salariali d’Europa, si è aperto uno spiraglio di luce con lo sbocco della firma dei primi importanti rinnovi di contratti nazionali e una soffice e graduale riforma pensionistica. Intanto la nazione ha mantenuto e potenziato gli impegni internazionali nella difesa della pace dai Balcani all’Asia, al Medio Oriente, all’Africa, e nella lotta al terrorismo.

Le prime liberalizzazioni delle professioni e degli esercizi commerciali, che hanno avviato l’Italia sulla strada delle più avanzate democrazie occidentali e ridotto i costi di beni e servizi ai consumatori, hanno scatenato, come era prevedibile, ondate di proteste ed ora propositi di rivalsa politica di farmacisti e case farmaceutiche, avvocati, notai, tassisti e altre categorie già operanti in regime di restrizioni e monopolio. Numerose altre riforme predisposte e appena avviate in sede legislativa – fra le principali, giustizia, federalismo fiscale, sistema elettorale, regolamentazione del settore televisivo, conflitto d’interessi, immigrazione, cittadinanza, scuola, ricerca – decadono automaticamente con la fine prematura della legislatura. Come ha l’altro giorno dichiarato il presidente dei giovani industriali, Matteo Colaninno, “non siamo in un contesto declinante, le imprese crescono e crescono bene, all’estero ci guardano con rispetto, ma il nostro paradosso è che le sorti del governo sono appese a un Mastella”. Nessuna condanna più umiliante e grave di questa di una politica familistica elevata a sistema, per cui ad esempio un presidente di Asl o di ospedale, un medico o un chirurgo,viene scelto e imposto in primo luogo sulle base della sua tessera di partito. Piaga sanguinante dell’Italia. Difficile, quasi impossibile, spiegare all’estero.

Tempi e sbocchi della crisi – Nell’attesa della decisione del presidente Napolitano, la soluzione è ancora aperta ad ogni ipotesi. Governo-ponte, governo tecnico, istituzionale, di larghe intese, a termine per la riforma della legge elettorale e/o altre riforme istituzionali e costituzionali, rinvio alle Camere, mandato esplorativo ad un’alta personalità per verificare le intenzioni dei partiti. O scioglimento delle Camere e indizione di nuove elezioni. Per questa soluzione scalpitano sia il centrodestra di Berlusconi, Fini e Bossi, forti della presunzione di sicura vittoria con programmi populisti e demagogici slogan, sia ovviamente i gruppi dei contestatori di centrosinistra Dini, Mastella e Bordon, sia partitini dell’estrema sinistra, timorosi di scomparire con una nuova legge elettorale che imponesse qualche soglia di sbarramento intorno al 5 per cento. D’altro canto, il Partito Democratico di Prodi e Veltroni, la fetta maggiore degli altri partiti di centrosinistra e l’UDC di Casini, che ancora non si piega ai diktat di Berlusconi, sostengono il progetto di un governo di transizione, in grado di fare almeno una nuova legge elettorale prima di tornare alle urne. C’è la vaga sensazione, comunque, che il Cavaliere avrà partita vinta e si andrà a votare a tamburo battente con questa legge elettorale, definita “una porcata” dal suo stesso autore, il leghista Calderoli: il “porcellum” in base al quale gli elettori possono solo votare i contrassegni dei partiti o coalizioni in lizza, ma non possono scegliere i candidati alla Camera e al Senato le cui liste restano invece in tasca ai segretari dei partiti.

Prospettive di un nuovo governo Berlusconi – Potrebbe anche essere prematuro parlarne. La pelle dell’orso non va venduta prima di ucciderlo. Un mese in politica, specie in campagna elettorale, è un’eternità. Secondo l’opinione di alcuni osservatori indipendenti e dello stato maggiore del Partito Democratico, dove come anticipato coesistono varie correnti talvolta anche conflittuali, la vittoria del centrodestra non è ancora scontata. Il cavaliere, dal suo canto, dice di avere già in mente almeno dieci immediate leggi di riforma. A cominciare, naturalmente, dalla giustizia, da quella magistratura che troppi guai gli ha dato e continua a dargli. La lingua batte dove il dente duole. Da scommettere che la seconda iniziativa sarà di bloccare qualsiasi progetto sul conflitto di interessi, in modo che nelle mani della stessa persona restino, senza lacci e laccioli di “blind trust” e “par condicio”, il controllo di un grosso blocco di mezzi d’informazione e il supremo potere politico del Paese. Tutto questo mentre anche sull’Italia si addensano le nubi di una recessione economica mondiale.
Nino Randazzo/Italia Estera



 
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