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10 set 2001Intervento del ministro Ruggiero presso le commissioni riunite di Camera e Senat

- ROMA – Questo l’intervento del Ministro degli Affari Esteri,Renato Ruggiero, all’audizione presso le commissioni riunite di Camera e Senato – Comitato paritetico per l’indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del Vertice G8 di Genova:
“Signor Presidente,Onorevoli Senatori,Onorevoli Deputati,
permettetemi innanzitutto di esprimere il mio più sincero ringraziamento per l’opportunità che ancora una volta mi si offre di illustrare al Parlamento il ruolo del Ministero degli Affari Esteri nella predisposizione del Vertice G8 di Genova.
Nella mia relazione mi concentrerò naturalmente sugli eventi a cui ho partecipato nel quadro delle specifiche competenze del Ministero degli Affari Esteri, comprendenti:
- i contatti di natura diplomatica con gli altri Paesi;
- la discussione ed il negoziato sui contenuti di politica estera legati sia alla riunione ministeriale di Roma del 18-19 luglio, sia al Vertice stesso dei Capi di Stato e di Governo;
- la definizione del comunicato finale dell’incontro con riferimento ai suoi punti più qualificanti, primi fra tutti l’istituzione del Fondo Globale per la Salute e la conferma degli impegni riguardanti la cancellazione o la riduzione del debito dei Paesi più poveri.
Il nostro impegno ha altresì compreso la preparazione – prima del Vertice ed in margine ad esso – rispettivamente dell’incontro delle massime Autorità dello Stato con alte personalità morali internazionali e con il Segretario Generale delle Nazioni Unite, insieme ad una significativa rappresentanza di leader di Paesi in via di sviluppo.
Tralascerei, invece, gli aspetti organizzativi - ovviamente sempre riferibili alle competenze del Ministero degli Affari Esteri - sui quali ha riferito il Segretario Generale Ambasciatore Vattani.
Alla base di questa intensa attività preparatoria vi era un grande obbiettivo: fare di Genova un Vertice "per la vita", in particolare per l’istituzione del Fondo anti AIDS, un’occasione privilegiata di dialogo fra il Nord ed il Sud del mondo, in grado di fornire risposte concrete alle istanze sempre più pressanti circa l’esigenza di uno sviluppo globale più equilibrato e sostenibile.
Come Vi è noto, ho più volte accolto l’invito rivoltomi dal Parlamento per esporre prima del Vertice le scelte che ne guidavano la filosofia innovativa, quanto ai contenuti ed all’inedita cornice che ho sopra tratteggiato, e per valutarne dopo i risultati sul piano della politica internazionale e del ruolo dell’Italia in tale scenario.
Mi riferisco ai miei interventi in Assemblea (3-4 luglio in Aula Camera; 11 luglio in Aula Senato; 25 luglio in Aula Camera) e nelle Commissioni Affari Esteri (4 luglio alla Camera ed 10 luglio in Senato). In tali occasioni, ho potuto sottolineare quali fossero a mio avviso le ragioni oggettive che non solo facevano di Genova un passo in avanti nella lotta per un mondo più giusto, ma segnavano anche un avvio di "riforma" dei Vertici che non mancherà di condizionare la struttura, l’agenda e gli obbiettivi delle analoghe scadenze internazionali future.
Vorrei dunque soffermarmi sulla successione delle varie tappe di "costruzione" del Vertice, cercando di fornire a questa cronologia un denominatore comune: l’esigenza di governabilità della crescente interdipendenza che caratterizza la società internazionale e della conseguente globalizzazione.
In questo sforzo, ero e resto convinto che le istituzioni possano avvalersi degli spunti provenienti da un dialogo autentico con la società civile, riservando lo spazio e l’ascolto al dissenso nelle forme doverosamente accettabili in Paesi democratici.
Ribadisco che la ricerca del dialogo con le componenti della società civile - linea che continuo sempre a ritenere corretta e necessaria – non ha costituito solo una scelta di carattere "precauzionale".
In altri termini, essa non era volta solo a ridurre il tenore e la dimensione degli scontri temuti, a non esacerbare cioè le forti tensioni che si erano sviluppate ai margini dei precedenti vertici internazionali.
Essa intendeva essere anche una vera e propria risorsa "aggiuntiva" di un vertice che teneva a caratterizzarsi per il suo grado di considerevole apertura sul mondo esterno e per un’agenda che rispondeva alle oggettive sollecitazioni della sua componente più penalizzata.
Tali miei convincimenti di fondo si sono ulteriormente rafforzati già durante i giorni del Consiglio Europeo di Goteborg, allorchè, dopo gli scontri del 16 giugno, manifestai sia ai colleghi europei, sia agli organi di informazione, la necessità di insistere sul dialogo con chi intendeva manifestare per dare voce a quei fermenti, spesso condivisibili, presenti oggi in tutte le società civili del pianeta.
Quello che mi colpì a Goteborg fu il fatto che quel Vertice era dominato da due grandi, positivi eventi:
la definizione di una strategia europea d’avanguardia in materia di politica ambientale per inserire l’ecologia come dimensione necessaria ad ogni altra politica di sviluppo;
l’incontro di 24 Paesi europei rappresentati al più alto livello per decidere di iniziare un nuovo capitolo nella storia del Vecchio Continente: quello di vivere assieme e di organizzare assieme lo sviluppo in una cornice di pace e libertà.
Chiudevamo in quel momento secoli di rivalità, di guerre, di conquiste territoriali, di tentativi di dominazioni egemoniche per estendere quel disegno di pace e progresso che è stata ed è la costruzione dell’Unione Europea.
Tuttavia, mentre questi due grandi eventi si producevano, al di fuori del Centro Conferenze di Goteborg i dimostranti lanciavano pietre, scontrandosi duramente con le forze dell’ordine e dando origine ai conseguenti gravi incidenti che tutti conoscete.
Perché mai una simile incomprensione fra quanto accadeva all’interno delle sale del Vertice e la violenta protesta all’esterno?
Risalgono a quei giorni, peraltro immediatamente successivi al mio arrivo alla Farnesina, due miei intendimenti:
1) discutere con i colleghi dell’Unione Europea e del G8 della necessità del dialogo verso l’esterno;
2) invitare alcune personalità internazionali di riconosciuta autorità morale per fare sentire la loro voce ai partecipanti al Vertice di Genova. Organizzare degli incontri con componenti qualificate della società civile impegnate sui temi della globalizzazione e della solidarietà, proprio per approfondire i concreti contenuti dell’Agenda del Vertice che andavano incontestabilmente in favore della lotta contro le ingiustizie del mondo. Ho accompagnato questa azione con una serie di dichiarazioni pubbliche per illustrare la vera agenda del Vertice.
Con gli stessi intenti e con identico spirito di apertura e disponibilità, incontrai, rispettivamente il 20 e 21 giugno al Viminale con il Ministro Scajola gli Onn. Francescato e Bertinotti, nonché una delegazione di parlamentari liguri che espressero nella circostanza unanime apprezzamento per la linea di dialogo intrapresa. Da parte mia, cercai in queste occasioni di valorizzare i temi e le finalità del Vertice.
Risultò chiaro fin da quei primi contatti come per il Governo l’espressione di una protesta in forma pacifica costituisse un diritto legittimo in qualsiasi ordinamento democratico, mentre il ricorso ad atti di violenza per esprimere il dissenso non sarebbe stato ritenuto accettabile.
Continuava negli stessi giorni, d’intesa con il Presidente della Repubblica ed il Presidente del Consiglio, il mio impegno personale per promuovere a Roma, alla vigilia del Vertice, una riunione con eminenti personalità mondiali indipendenti di riconosciuta autorità morale.
Obiettivo di tale iniziativa non era certo quello di fornire un avallo ai lavori del Vertice, ma piuttosto di acquisire la particolare esperienza delle autorevoli personalità su temi specifici in discussione a Genova (lotta alla povertà, cancellazione del debito, emergenze sanitarie) e lanciare un dialogo su basi più autorevoli.
Il loro messaggio è giunto sin nelle stanze del Vertice, poiché trasmesso, tramite la Presidenza italiana, alla valutazione dei governanti dei Paesi maggiormente industrializzati convenuti a Genova.
Per questo, ho incontrato il 25 giugno a Lussemburgo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Mary Robinson, richiedendo ed ottenendo un contributo all’organizzazione di tale incontro, anche attraverso la sua autorevole presenza. Ho al contempo avviato contatti telefonici con le altre personalità prescelte, quali l’ex Presidente sudafricano Mandela, per invitarle a Roma. Nello stesso periodo, ho provveduto personalmente ad invitare il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, a Genova per partecipare al lancio del Fondo per la Salute.
Questa attività preparatoria è proseguita fino alla data della riunione a Roma, il 13 luglio, a cui hanno preso parte personalmente, oltre alla già citata Robinson, il Premio Nobel per la Medicina Professoressa Rita Levi Montalcini, l’ex Alto Commissario della Nazioni Unite per i Rifugiati Signora Ogata, l’Arcivescovo brasiliano Mons. Mendes de Almeida, il pakistano Sattar Edhi, presidente della omonima fondazione, attivamente impegnato nell’assistenza dei poveri e degli emarginati.
Le altre personalità, che hanno purtroppo declinato l’invito per problemi di agenda, hanno comunque fatto pervenire al Capo dello Stato o al Governo italiano messaggi di grande apprezzamento per l’iniziativa. Mi riferisco allo stesso Nelson Mandela, al Premio Nobel per l’Economia Sen, alla vedova di Martin Luther King, al Premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchù, all’ex Presidente finlandese Ahtisaari, al Premio Nobel per la Letteratura Soyinka.
Questo "filone" di dialogo ed apertura del Vertice al mondo esterno si concludeva quindi positivamente con l’arrivo di queste personalità a Roma e i loro incontri con il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio e me stesso.
L’Italia, insomma, contribuiva a marcare l’avvio di un nuovo approccio di cooperazione con la società civile e di un fruttuoso scambio di opinioni con le più aggiornate riflessioni indipendenti internazionali su temi umanitari, recepite pienamente poi nelle conclusioni operative del Vertice di Genova e testimoniate dall’adesione a recarsi a Genova da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite, di una significativa rappresentanza di Capi di Stato di Paesi in Via di Sviluppo e di vertici di organizzazioni internazionali.
Sui temi del dialogo non ho mancato peraltro di sensibilizzare i miei colleghi europei nel corso di un fitto giro di visite ed incontri che mi hanno condotto il 26 giugno a Parigi, il 27 a Berlino, il 5 luglio a Londra, il 9 a Madrid, mentre a Roma l’11 luglio incontravo il Ministro degli Esteri Belga Michel, quale Presidente di turno del Consiglio dei Ministri degli Esteri dell’UE.
In tutti questi contatti ho insistito sull’esigenza di dare risposte innovative ai fenomeni di contestazione della globalizzazione, poiché essi si basano in molti casi su problemi e valori interamente condivisibili, quali i diritti umani, i diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente, l’opposizione al lavoro minorile, la tutela della salute, dell’identità culturale, la lotta alla povertà, la riduzione delle ineguaglianze.
La disponibilità al dialogo e la contestuale necessità di isolare le frange violente, che hanno caratterizzato tutte le manifestazioni anti-globalizzazione da Ginevra, nel maggio ’98, sono state ampiamente condivise dai colleghi europei, così come dai Ministri degli Esteri del G8 nella riunione di Roma che ha preceduto di qualche giorno il Vertice genovese.
In queste discussioni è emersa anche l’insufficienza di una appropriata comunicazione sui reali temi del Vertice e sulla volontà di fare della riunione di Genova un nuovo punto di partenza nella lotta contro la povertà, l’AIDS e le disuguaglianze.
Si doveva in altri termini cercare di eliminare due rilievi che apparivano centrali nelle posizioni della contestazione.
Il primo, della cosiddetta "illegittimità" della riunione, il secondo dell’accusa di costituire un centro decisionale al di fuori e al di sopra dei normali circuiti istituzionali della vita internazionale.
Sul primo punto, come sul secondo, le risposte partecipative e le pubbliche richieste fatte dai Paesi di un intero Continente, come l’Africa, e dalle principali personalità delle grandi istituzioni mondiali, come l’ONU, smentivano in modo chiaro la validità di quei due rilievi.
Il vero problema della società internazionale è oggi non quello di rifiutare l’interdipendenza delle nazioni, delle economie, dei popoli. Questo rifiuto riporterebbe il mondo alle barriere nazionali, con tutte le conseguenze che le vicende della storia ci hanno inequivocabilmente insegnato. Il problema è il miglioramento sostanziale della governabilità del sistema e non il suo rifiuto. Ecco perché il dialogo diventava un elemento essenziale, da valorizzare in ogni modo.
Tali posizioni venivano ribadite dall’Italia – e riprese nelle conclusioni dell’incontro – al Consiglio Affari Generali di Bruxelles del 16 luglio, in cui i quindici Ministri degli Esteri si sono ulteriormente soffermati sull’importanza di chiari segnali circa la volontà di dialogo con settori della società civile sui temi di fondo della globalizzazione.
Naturalmente, nel perseguimento dell’opzione del dialogo con la società civile, non poteva mancare – parallelamente ai miei contatti con gli ambienti internazionali - un impegno altrettanto intenso sul fronte interno, esplicitato in una serie di incontri tenuti sul significato del Vertice e sull’approfondimento dei temi in agenda con esponenti di associazioni, ONG e sindacati.
Il più noto - per la particolare eco avuta sugli organi di informazione - è stato quello condotto alla Farnesina col Ministro Scajola, il 28 giugno, con una delegazione del "Genoa Social Forum", guidata dal portavoce dr. Agnoletto.
Anche in questo caso, come nelle precedenti circostanze che ci avevano visto fianco a fianco (incontri con Onn. Bertinotti, Francescato e con parlamentari liguri), mentre il titolare dell’Interno si soffermava sulla varie problematiche relative all’ordine pubblico, il mio compito consisteva nello spiegare ed approfondire meglio i contenuti del Vertice ed il suo carattere innovativo.
Di questo incontro, esiste peraltro una mia dichiarazione introduttiva, di cui intendo rimettere copia a questo Comitato, dove emerge chiaramente la volontà del Governo in favore dell’avvio di un dialogo concreto sulle questioni vitali che interessano il pianeta e che sono state portate dall’Italia al centro del dibattito fra i leader delle maggiori potenze industrializzate.
Il "Genoa Social Forum" appariva in quel momento un "contenitore" abbastanza rappresentativo del vasto arcipelago della protesta, parlando a nome di oltre 750 associazioni e ONG. In esso, peraltro, risultava essere confluita buona parte delle sigle precedentemente appartenenti al cosiddetto "Patto di Lavoro" che aveva costituito già un interlocutore per il precedente Esecutivo.
Ciò nondimeno, la scelta di incontrare i rappresentanti del "Genoa Social Forum" non è stata esclusiva, né ha inteso fornire particolari "credenziali" di rappresentatività a tali interlocutori rispetto ad altri.
Fra gli incontri da me avuti prima del Vertice, vorrei ricordare inoltre quelli del 13 luglio con il fondatore del Servizio Giovani Missionari (SERMIG), Ernesto Olivero, con la Comunità di S. Egidio, con i Segretari Nazionali di CGIL, CISL e UIL. Questi ultimi, in particolare, esprimevano la loro soddisfazione per essere stato previsto, tra le iniziative collaterali al vertice di Genova, l’incontro del 19 luglio, aperto ad organizzazioni sindacali e del mondo imprenditoriale internazionali.
Il mio programma proseguiva l’indomani, 14 luglio, sempre a Roma, con un incontro-dibattito con i rappresentanti dell’"Associazione ONG italiane", che riunisce 165 ONG nazionali di area laica e cattolica ed altre 65 del "Forum Permanente del Terzo Settore". Rilevo peraltro che di tali associazioni e ONG facevano parte anche numerosi gruppi aderenti al "Genoa Social Forum".
Come si può notare, la coerente linea del dialogo si è rivolta in tutte le direzioni verso chi ha accettato questa impostazione e si è mostrato interessato a comprendere le reali ragioni del Vertice ed il ruolo svolto dall’Italia in quest’anno di Presidenza dell’esercizio.
Arriviamo dunque alla cornice vera e propria del vertice, dove vengono raccolte le fila di questa ampia azione diplomatica volta anche a valorizzare il dialogo con l’esterno.
Come ho detto all’inizio del mio intervento, vorrei evitare di dilungarmi sull’impegno profuso dai precedenti Governi, così come dall’attuale, relativamente alla definizione dei temi di sostanza del vertice, alla predisposizione dei relativi documenti, alla costante e talvolta non facile opera di consultazione e convincimento dei partner su un’agenda che ha esteso nella forma e nella sostanza i tradizionali confini concettuali del G8. Il mio intervento alla Camera del 25 luglio scorso contiene un ampio resoconto su tali punti.
Vorrei comunque testimoniare come il complessivo sforzo in favore del dialogo non sia stato fine a se stesso, ma si sia riverberato nei contenuti, nella struttura e nelle conclusioni dell’evento. L’ampia azione di dialogo è stata sempre concepita e diretta a fare conoscere meglio e a divulgare i contenuti del Vertice, sia perché essi rappresentavano una risposta a talune richieste che la società civile va avanzando, sia nell’assenza di una divulgazione da parte degli organi di informazione, prevalentemente interessati alle questioni dell’ordine pubblico.
Vorrei dunque limitarmi in questa sede a ricordare i tre principali eventi svoltisi dal 18 al 22 luglio:
- l’incontro a Roma dei Ministri degli Affari Esteri del G8 (18-19 luglio). Esso ha posto le basi per le successive dichiarazioni dei Capi di Stato e di Governo sulle drammatiche crisi mediorientale e macedone, entrambe ancora di estrema attualità e gravità.
Anche nel corso di questa riunione ho potuto avviare una approfondita discussione sull’esigenza del dialogo con i movimenti e le associazioni che lo accettano e che si dissociano dalla violenza.
Su impulso italiano, tale dibattito proseguirà a settembre, nel corso della tradizionale riunione di lavoro dei Ministri degli Esteri del G8 a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, anche in vista delle iniziative concrete che potranno al riguardo prevedersi nel corso della successiva Presidenza canadese del G8.
- L’evento di "apertura" del Vertice nei confronti dei Paesi in Via di Sviluppo (20 luglio), anch’esso frutto dell’iniziativa diplomatica che ho compiutamente esposto in Parlamento e che è culminata in questo caso nella presenza a Genova dei Capi di Stato e di Governo di Algeria, Bangladesh, El Salvador, Mali, Nigeria, Senegal, Sudafrica, quali espressione di tutte le istanze, sia a livello Nazioni Unite, sia in ambito regionale, dei principali problemi del Sud del mondo. Erano altresì presenti i vertici di importanti organizzazioni internazionali (ONU, FAO, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio, Organizzazione Mondiale della Sanità).
Vorrei in proposito sottolineare come la presenza di Kofi Annan ai vertici non debba essere considerata un dato acquisito. Egli, a differenza di altre occasioni, ha tenuto ad essere a Genova proprio a testimonianza del taglio impresso dalla nostra Presidenza e dell’interesse per le decisioni prese.
- Infine, la riunione dei Capi di Stato e di Governo (20-22 luglio), i cui esiti sono illustrati nel comunicato finale del Vertice, anch’esso oggetto di un’approfondita analisi nel corso dei miei precedenti interventi alle Camere sopra richiamati. Elenco in maniera rapidissima la decisione di creare un gruppo di lavoro per la partnership Africa-G8, nel nuovo spirito di partenariato che i Paesi africani hanno deciso nel recente vertice di Lusaka; il lancio del fondo globale per la lotta all’AIDS, alla malaria e alla tubercolosi con la disponibilità immediata di 1.300 milioni di dollari da parte degli Otto e di 500 milioni di dollari provenienti dal settore privato; i progressi nel processo di cancellazione del debito che vede l’Italia all’avanguardia rispetto alla comunità dei creditori bilaterali; il sostegno al lancio di un nuovo round di negoziati globali in materia commerciale a Doha, con un’agenda più equilibrata e che vogliamo più attenta ai temi di prevalente interesse per i PVS; la valorizzazione della task force sulle opportunità delle tecnologie digitali, quali fattore di accelerazione dello sviluppo delle aree più penalizzate del mondo; la volontà comune di affrontare costruttivamente il problema dei cambiamenti climatici; l’esito positivo dei colloqui Bush-Putin in tema di difesa missilistica.
Mi sembra che ancora oggi siamo in grado di dire che a Genova non abbiamo certamente cambiato il mondo, ma che l’ampiezza e l’importanza di alcuni temi trattati per la prima volta, insieme alle proposte di raccordo fra il G8 e i Paesi in via di sviluppo, abbiano contribuito a far compiere dei passi verso la giusta direzione.
A Genova, la necessità di approfondire alcune questioni capitali aperte dalla crescente interdipendenza degli Stati, delle economie, dei popoli, si è affermata in modo chiaro.
Le riflessioni sul miglioramento della governabilità del sistema, su come proseguire in modo più efficace il dialogo con la società civile ed infine sull’organizzazione stessa dei Vertici dei Capi di Stato o di Governo, sono ormai temi iscritti nell’agenda dei dibattiti internazionali.
Il problema non è quello di rifiutare l’interdipendenza e la globalizzazione, che significano inclusione dei problemi del mondo nell’agenda internazionale. Lo dimostra il fatto stesso che la lotta contro la povertà nel mondo sia stata inclusa per la prima volta come tema centrale del Vertice.
L’alternativa sarebbe quella di ripristinare le tradizionali barriere che hanno sempre diviso gli Stati e i popoli.
L’alternativa è, dunque, l’"inclusione" degli altri.
L’Italia continuerà ad adoperarsi, così come ha fatto finora, nella ricerca di soluzioni che possano dare a questo mondo sempre più globalizzato un volto umano”.



 
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