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13 lug 2006Iniziativa legislativa dei Parlamentari Luigi Pallaro, Ricardo Merlo e Giuseppe Angeli contro la discriminazione nei confronti delle donne in materia di trasmissione della cittadinanza

ROMA, 13 LUG (Italia Estera) - I tre parlamentari italo-argentini, eletti nella circoscrizione estero-America latina,  hanno in questi giorni presentato  una proposta di legge  che va a modificare ed integrare   la legge 91 del 1992  in materia di cittadinanza italiana.
“Il nostro obiettivo è di consentire   alle donne italiane emigrate  di trasmettere la cittadinanza ai propri figli nati prima del 1948”dichiara l’on. Ricardo Merlo.
Infatti come è noto per decenni era stato impedito  alle  donne italiane, sposate con cittadini non italiani,  di trasmettere questo diritto ai loro figli. L’entrata in vigore della legge 91 del 1992  aveva solo in parte eliminato questa discriminazione, lasciando  fuori dalla sanatoria  i figli di madre italiana nati prima del 1948.
Situazione anacronistica" -continua Ricardo Merlo-   "che, oltre  a essere in contrasto con i principi della nostra Costituzione,  si scontra  anche con le norme internazionali, quali la Convenzione, adottata nel 1979,  dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di tutte di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne,  e ratificata dall’Italia nel 1985. Basta con la discriminazione nei confronti delle donne! " ha così concluso l’on. Merlo.
PROPOSTA DI LEGGE
Modifica e integrazione dell’art.1 della legge 5 febbraio 1992 n. 91 in materia di cittadinanza italiana
ONOREVOLI COLLEGHI! - Esiste ancora oggi  nell’ordinamento italiano una anacronistica  disparità di trattamento tra cittadini, in contrasto palese  con i dettami costituzionali che garantiscono pari dignità sociale ed uguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso (articolo 3 Cost.)
Tale discriminazione giuridica  si riscontra,   ancora oggi,  nei confronti di quelle donne che emigrate all’estero nel secolo scorso, sono  state private della cittadinanza per se stesse e per i propri figli, per effetto della legge sulla cittadinanza italiana 13 giugno 1912, n. 555, allora vigente.
Il principio fondamentale per l’attribuzione originaria della cittadinanza italiana per nascita,  a cui  era ispirato quel dettato legislativo, era  quello dello jus sanguinis o diritto  di  sangue, non estendendo però il diritto di cittadinanza al figlio di madre italiana e di padre straniero, considerando quindi “…la donna  come giuridicamente inferiore  all’uomo e addirittura  come persona non avente  la completa capacità giuridica”(Si veda  B. Nascimbene, “Acquisto e perdita della cittadinanza. Una riforma auspicata: la nuova disciplina  della cittadinanza” in Il Corriere Giuridico n. 5 , 1992).
Il figlio di madre italiana poteva considerarsi italiano solo se il padre era ignoto o apolide oppure  se, in base alle leggi vigenti nello Stato di cui il padre era cittadino, non acquistava la cittadinanza di tale Stato.
alcune situazioni discriminatorie  consentendo in pratica  l’ attribuzione della cittadinanza italiana solo ai figli di madre italiana e di padre straniero nati dopo il 1º gennaio 1948.(Si veda  Horacio Guillen, “Lo Jus Sanguinis” e la giurisprudenza  della Corte  Costituzionale  e della Suprema Corte  di Cassazione” in Semplice, Anno III, n. 3 marzo 2006, Demografici Associati)
In base al parere n. 105 del 15 aprile 1983  del Consiglio di Stato  la retroattività della incostituzionalità dell’art. 1 della legge 555 non può andare oltre il momento in cui si è verificato il contrasto tra la norma di legge (o di atto avente forza di legge) – anteriore all’entrata in vigore della Costituzione – dichiarata illegittima, e la norma od il principio della Costituzione.
In tempi più recenti, la legge n. 91 del 1992 ha recepito  definitivamente il principio della parità di trattamento ammettendo l’attribuzione della cittadinanza italiana ai figli di padre o di madre italiana.

La legge, tuttavia, non avendo effetti retroattivi ha lasciato  inalterata la situazione perpetrando il trattamento discriminatorio, per il periodo che va dal 1912 al 1948,  sia tra le  donne e gli  uomini italiani emigrati, sia tra gli stessi  fratelli  figli della stessa madre italiana ma  che sono  nati  prima e dopo il 1948 che, sic  stantibus  rebus, non godono dello stesso diritto di cittadinanza.

Nel 1996, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 6297 del 10 luglio 1996, emessa dalla prima sezione civile ha ridato fiducia  a tanti  cittadini figli di donne italiane emigrate nel secolo scorso.
Infatti, modificando radicalmente l’orientamento espresso dalla stessa Suprema Corte in altre pronunce, la Cassazione ha deciso di accogliere il ricorso presentato da un cittadino argentino figlio di madre italiana contro il Ministero dell’Interno, che aveva rigettato la sua richiesta di attribuzione della cittadinanza per linea materna, appunto perché nato prima del 1948.
Tuttavia, la successiva circolare del Ministero dell’interno del 10 dicembre 1996, sostenendo che la decisione della suprema Corte si pone in contrasto con tutta la In pratica  tale disposizione normativa era impostata sul principio della prevalenza dell’unità della cittadinanza in seno alla famiglia e della supremazia della figura del padre-marito.
Ciò ha comportato  per decenni  una profonda disparità di trattamento tra uomo e donna   ancora più evidente dopo l’introduzione nell’ordinamento italiano della legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia, che ha affermato  il principio di uguaglianza tra uomo e donna, nell’ambito dei rapporti familiari.
Ma  nonostante questa fondamentale innovazione del nostro Codice Civile,    si è dovuto  ancora attendere perché questo  principio venisse esteso anche alla legislazione sulla cittadinanza.
Infatti, è  solo del 28 gennaio 1983 la sentenza n. 30 della Corte Costituzionale che  dichiara incostituzionale  l’art. 1 della legge 555  del  1912, laddove  non riconosce come cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre cittadina, sancendo che anche i figli di madre italiana sono italiani.
Sentenza fondamentale e apripista della legge n. 123, varata nell’aprile dello stesso anno, che consentiva  la trasmissione della cittadinanza italiana anche ai figli per via materna, introducendo il principio di uguaglianza morale e giuridica tra uomo e donna nell’ordinamento italiano, con riguardo alla trasmissibilità di questo diritto ai figli.
Ma la sentenza n. 30 del 1983   della Corte Costituzionale ha lasciato  inalterate precedente giurisprudenza, ha ritenuto che la sopraccitata sentenza costituisce un caso isolato, che non può estendersi a tutti i casi analoghi, anche se consente  di sperare in  un esito positivo per ogni singolo ricorso.
Non vi è dubbio che malgrado i tentativi finora compiuti, non si è ancora  giunti ad una definizione della materia che possa considerarsi  soddisfacente sotto il profilo del dettame costituzionale ma anche sotto quello delle norme internazionali: norme internazionali come la Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne,  adottata dall’Assemblea generale nel 1979 e  ratificata dall’Italia ai sensi della legge 14 marzo 1985, n. 132, con la quale gli Stati parte della convenzione si sono impegnati a:”… perseguire, con ogni mezzo appropriato  e senza indugio, una politica tendente  ad eliminare  la discriminazione nei confronti delle donne. “
Ecco perché oggi, con questa proposta di legge, che modificando l’art. 1 della legge 91 del 1992,  estende il diritto di cittadinanza anche ai figli di madre italiana nati anteriormente al 1º gennaio 1948,  proponiamo un intervento legislativo volto a eliminare una volta per tutte la  disparità di trattamento tra cittadini, tuttora presente nel nostro ordinamento, che ha finora mantenuto viva  la discriminazione   tra uomo e donna.



 
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