- ROMA - Alla Farnesina si esprime preoccupazione e rammarico per l’episodio che ha costretto i responsabili della ONG italiana "Emergency" a interrompere l’attività dell’Ospedale di Kabul finanziato dalla Cooperazione italiana attraverso l’UNDP, a provvedere all’evacuazione verso il Pakistan del personale europeo che vi lavorava, e a sospendere l’impegno umanitario in favore delle vittime del conflitto. dopo il raid della polizia religiosa che accusava il personale di promiscuità.
L’Ospedale in questione - si rileva alla Farnesina - è considerato la struttura più all’avanguardia del paese ed aveva raccolto l’apprezzamento delle Autorità sanitarie di Kabul.
La Cooperazione italiana sostiene - si ricorda ancora alla Farnesina - anche una struttura sanitaria analoga nella valle del Panchir presso l’Alleanza del Nord contrapposta ai talebani. L’esistenza delle due strutture sanitarie aveva già favorito lo scambio di feriti fra le due parti.
L’Unità di crisi del Ministero degli Esteri sta seguendo l’evolversi della situazione, in costante contatto con l’Ambasciatore d’Italia a Islamabad e con i responsabili dell’Organizzazione umanitaria.
Il sottosegretario Ugo Intini, in proposito ha detto che la riapertura dell’ospedale italiano non è ancora certa, ma probabile nell’arco di una decina di giorni, perché dopo l’incidente della scorsa settimana si stanno creando le premesse per garanzie sufficienti di sicurezza, onde evitare che si ripetano aggressioni come quella della quale sono stati vittime i dipendenti dell’ospedale, colpiti dai miliziani che li accusavano di non rispettare la rigida segregazione sessuale imposta dal mullah Mohammed Omar, capo della polizia religiosa del regime. Le garanzie richieste dagli italiani sono quelle di un impegno scritto di inviolabilità territoriale (per l’edificio e il suo compound) da parte delle autorità talebane. L’ambasciatore italiano in Pakistan Gabriele De Ceglie che ha accompagnato a Kabul il chirurgo Gino Strada, responsabile di Emergency, stanno lavorando con questo obiettivo ed hanno già incontrato il ministro degli esteri e quello della pianificazione sociale. Ma nessuno di questi due ministeri hanno il controllo della polizia islamica - nota ufficialmente come "Dipartimento per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù" - e non sono dunque in grado di prevenire le sue spedizioni punitive. Strada insiste che la riapertura non sarà decisa se non saranno "ripristinate le condizioni di sicurezza per lo staff medico e i pazienti": una quarantina, questi ultimi, che dopo l’incursione sono stati trasferiti o dimessi , mentre i 16 dipendenti italiani e curdi si sono rifugiati in Pakistan. Bisogna anche valutare l’eventualità se dietro l’azione della polizia islamica ci sia anche il tentativo dei Talebani di appropriarsi dell’ospedale e delle sue attrezzature: non tanto per ragioni sanitarie o politiche ma piuttosto con un obiettivo clientelare, come in passato è già avvenuto a danno di altre organizzazioni umanitarie. Infine c’è anche da considerare il fatto che l’ospedale è noto - con molto rammarico da parte dei Talebani - come “l’ospedale del re “ ed il sovrano dell’Afganistan deposto , che vive in esilio a Roma, gode tra la popolazione di una grandissima popolarità.
Intini, nel suo intervento ha ringraziato il Presidente della Commissione Europea Romano Prodi, che ha dato il suo appoggio all’iniziativa umanitaria e che la segue con molto interesse in questi ultimi tempi, con la prospettiva di un intervento finanziario da parte dell’UE. Il sottosegretario ha fatto anche il punto sulla situazione politica, affermando che la comunità internazionale ha di fronte a sé tre strade. La prima: continuare a guardare e ad offrire un piccolo aiuto umanitario, mentre un intero popolo si dissangua nella guerra e sprofonda in una arretratezza da alto medioevo; la seconda: tentare una via negoziale verso la pace, che richiede ovviamente di dialogare con tutte le parti, e quindi anche con i talebani; la terza: inviare una forza di interposizione e di intervento militare costituita da soldati delle Nazioni Unite.
L’Italia – ha proseguito Intini - è diventata il motore degli sforzi per un negoziato di pace e la riapertura del nostro ospedale a Kabul sarebbe un ottimo segnale. Tuttavia, non si deve escludere la terza soluzione, quella di un contingente internazionale. Abbiamo lavorato, sollecitati e assistiti da tutte le Nazioni della zona e da tutte le potenze interessate, ma si deve fare molto di più. L’Afganistan è la più grande e lunga tragedia umanitaria in atto, verso la quale, per la momentanea assenza di gravi implicazioni politiche e strategiche, manca di un sufficiente interesse internazionale.