di Domenico Delli Carpini
NEW YORK, 6 DIC. (Italia Estera) - 6 DICEMBRE 1907. A Monongah, nello Stato del West Virginia, nelle miniere numero 6 e 8, una terribile esplosione causa la morte di 361 minatori, 171 dei quali italiani emigrati dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Calabria, dalla Puglia e dagli Abruzzi. In poche ore si consuma una tragedia epocale che non ha eguali nella storia dell'emigrazione italiana negli Stati Uniti. O, almeno così si crede. Fatto sta che Monongah è una tragedia ben più grave di quella di Marcinelle, in Belgio, dove perirono 136 italiani. Ma, nonostante le dimensioni storiche del "massacro", è dovuto trascorrere quasi un secolo perchè qualcuno portasse l'immane disastro alle cronache dei giornali. E, onestamente, se non fosse stata per l'ostinazione di gente comune che voleva a tutti i costi "non dimenticare", Monongah sarebbe rimasta ancora sepolta nell'anonimato.
Lontana dal cuore, lontana dagli occhi. Soprattutto remota nell'immaginario collettivo e anni luce lontana dagli interessi dei politici che oggi, in mancanza di eroi e di altari, hanno trasformato il sacrario delle vittime in un pulpito su cui tutti vogliono salire e proclamare di sentire e di sapere. E di condividere il dolore di quelle vittime di cui, ancora oggi, non si ha un elenco completo.
Ma, tragicamente, nella storia della nostra emigrazione non c'è solo Monongah. Il tracciato delle lacrime è un fiume in piena che scorre silenzioso e che nel suo percorso narra storie di indicibile sofferenza e di eccezionale coraggio. Sono storie di morte, storie sepolte, che gridano giustizia, malgrado l'oblio. Tra le tante, "Italian #14".
Non ha un nome nè un'origine. Per la storia ha soltanto una sigla e un numero lo sfortunato minatore ingoiato dalle visceri della miniera di Kanawha County, West Virginia tra il 1885 e il 1925.
Uno dei tanti. Dieci, cento, mille. Chi lo sa. Nessuno. Erano i tempi del feudalismo dei pozzi della morte, gli anni neri della storia mineraria americana quando tutto era lecito, dalla schiavitù allo sfruttamento, dall'abuso alla violenza, dalla vessazione alla dissacrazione fisica. E calpestare la dignità di un essere umano con il viso sempre fuligginoso era quasi un onore; e quando entrare nelle visceri di quelle spumose montagne tanto care ai baroni del neo-latifondismo del Sud spesso significava non uscire mai più. Vivi.
I fortunati, quelli che non morivano tra i fumi e nei tracolli venivano di tanto in tanto rigurgitati dal ventre della miniera per respirare l'aria pestifera e malefica che sprigionava la montagna per poi tornare a scavare, mani e picconi, il carbone.
Nascono così le storie senza fine, vite fatte di stenti e di miserie, di angherie e di soprusi. Per tanti anche di coraggio come le storie di Darr.
Le cronache di un secolo fa sono parche nella descrizione degli eventi e nella loro drammaticità svelano i segreti di dolori ancora oggi lancinanti: "Un altro disastro ha colpito oggi la zona mineraria di Pittsburgh - si legge nel bollettino dell'United Press del 19 dicembre 1907 -. In una esplosione verificatasi alle 11.30 di stamani nella miniera di Darr, sono stati sepolti oltre 400 uomini. La miniera è ancora in fiamme e non crediamo ci siano dei superstiti. La miniera di Darr è di proprietà della Pittsburgh Coal Co. è in zona Jacob's Creek, tra gli incroci ferroviari di Pittsburgh e Lake Erie. Dei 400 minatori sepolti sotto le macerie, 100 sono americani, gli altri sono in maggioranza italiani... Non sono ancora note le cause dell'esplosione".
In pochi minuti, nel silenzio assordante della morte nera, si consuma una tragedia dalle proporzioni mostruose. Il numero ufficiale delle vittime tuttavia non si è mai saputo. La maggior parte sono ancora oggi ignoti. Per il semplice motivo che i minatori non scendevano da soli ma spesso portavano con loro i figli, i nipoti, i cugini non ancora registrati o addirittura illegali. Ma sopravvivere si doveva e allora giù a scavare nell'anonimato.
Alla luce di questi fattori e se le stime degli studiosi dei disastri minerari e le cronache del tempo fanno testo, le vittime "italiane" di Darr potrebbero "oscurare" le vittime di Monongah. Ma Darr rimane una tragedia sepolta nell'anominato. Come "Italian # 14". Questo non toglie nulla alla "strage" di Monongah. Al contrario, lo scriviamo oggi, a cento anni di distanza, affinchè anche il dramma di Darr possa passare alla storia e le sue vittime, gli italiani che ci hanno preceduto, possano godere dello stesso rispetto e delle stessa venerazione e considerazione delle vittime di Monongah.
Domenico delli Carpini/Italia Estera