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28 apr 2008Intervista con il ministro D'Alema: "I due anni passati alla Farnesina"

di Mariangela Pira
ROMA, 28 APR. (Italia Estera) - Il Ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha concesso questa intervista a Mariangela Pira.
Mariangela Pira. Siamo qui con il Ministro degli Affari Esteri Massimo D’Alema. Grazie, innanzitutto, per essere qui con noi.
On. Massimo D’Alema. Grazie a voi.
I due anni passati alla Farnesina
Mariangela Pira. Sono stati quasi due gli anni passati alla Farnesina, sono stati certamente anni molto intensi, e vorrei citare anche alcuni dati. Risultano oltre 300,000 miglia percorse, più di 12 volte il giro del mondo, da Lei in questi due anni. Quali sono stati, secondo Lei, i risultati di maggiore soddisfazione, e invece quelli di maggiore delusione, insoddisfazione in questi due anni?
On. Massimo D’Alema. Ma, io credo che, insomma, siamo riusciti, innanzitutto, a riallacciare molti rapporti. L’Italia era un Paese che aveva in parte logorato il suo sistema di relazioni internazionali. Era necessario tornare ad avere rapporti amichevoli con Paesi lontani, con interi continenti con cui si era appannato il nostro rapporto. E credo, da questo punto di vista, il risultato sia stato molto positivo. Penso all’America Latina, penso ai grandi Paesi asiatici, penso all’Africa, con cui abbiamo ristabilito un rapporto amichevole e anche un contatto diretto con le classi dirigenti di questi Paesi. Poi, naturalmente, è stato importante ridare all’Italia il profilo di un grande Paese che si impegna per la pace, per i diritti umani. Credo che corrisponde a una vocazione italiana, e sicuramente il voto dell’Assemblea per la moratoria delle esecuzioni è stato un momento molto significativo. E poi, il ritorno di una iniziativa italiana nel Medio Oriente per la pace, che ha avuto il suo momento più significativo nella vicenda libanese. Certo, rimane il rincrescimento, beh, innanzitutto non è tanto un fatto italiano questo qui, rimane il rincrescimento per quanto è difficile muovere sulla strada della pace tra palestinesi e israeliani, e purtroppo anche le speranze che si sono aperte tuttavia mi sembra sono contraddette da un quadro di violenza che rimane ogni giorno sempre più preoccupante. E poi, c’è una forte preoccupazione per i Balcani, perché la vicenda del Kosovo certamente è in un momento delicatissimo e rischia di dare forza a un sentimento nazionalista di isolamento della Serbia che rappresenterebbe per tutta la situazione dei Balcani un fattore molto grave di instabilità. Quindi è una partita aperta, molto delicata, dove l’Italia può giocare un ruolo importante. Mi dispiace un po’ lasciarlo a metà. Speriamo che questo lavoro venga ripreso con l’ispirazione giusta.
La diplomazia oggi
Mariangela Pira. Ecco, alcuni sostengono che i frequenti contatti diretti anche con i Capi di Stato e di Governo così come con i Ministri degli Esteri degli altri principali Paesi con cui è stato a contatto mettano in crisi quello che è il concetto tradizionale della diplomazia, e dunque fanno venir meno l’esigenza di una buona rete diplomatica all’estero. Lei è d’accordo con questo?
On. Massimo D’Alema. No. Certamente cambia il ruolo della diplomazia, nel senso che, diciamo, il diplomatico non è più come nel passato il portavoce del Governo, il tramite esclusivo del rapporto tra i governi. C’è un rapporto diretto, c’è il telefono, c’è l’abitudine a molti incontri internazionali, soprattutto tra i Paesi europei questo è intensissimo, ma anche in un cerchio più ampio, questo rapporto è molto più frequente che in passato. Tuttavia, senza una presenza in questi Paesi stranieri, senza la forza di una diplomazia che sia in grado di conoscere la realtà di quei Paesi, di avere una rete di relazioni non soltanto politiche ma economiche, intellettuali, mezzi di comunicazione, che sia in grado di trasmettere al Governo, all’autorità politica, al Presidente del Consiglio, al Ministro degli Esteri, una conoscenza della realtà dei Paesi con cui si intrattengono rapporti. Io credo che il lavoro sarebbe estremamente più difficile. Quindi, il compito della diplomazia diventa un compito molto più complesso, di analisi, di costruzione di relazioni non soltanto politiche, di capacità di capire le tendenze in atto nei diversi Paesi, è un compito che è assai più complesso che non quello di trasmettere le comunicazioni da un Governo all’altro, ma senza il quale io credo una politica estera non si potrebbe fare, quindi non si sostituiscono gli Ambasciatori con le telefonate, anche perché per telefono è molto difficile capire la realtà del Paese con il quale si parla.
La rete italiana all’estero.
Mariangela Pira. Ecco, l’Italia ha una delle reti all’estero considerate tra le più estese tra i Paesi occidentali, nonostante le risorse destinate alla politica estera forse siano inferiori rispetto a quelle destinate da parte dei nostri principali partner. Ha senso mantenere un numero così elevato di uffici all’estero, e in particolare di consolati istituiti sulla base di considerazioni geopolitiche e migratorie oggi ampiamente superate?
On. Massimo D’Alema. Io credo che, insomma, l’ampiezza della rete è una risorsa. Naturalmente, è possibile razionalizzare. Noi abbiamo avviato questo lavoro. Abbiamo cominciato a ridurre, in particolare a ridurre una presenza consolare più tradizionalmente costruita a ridosso dell’emigrazione italiana, soprattutto in Europa, ma allo scopo di investire su una presenza più robusta in grandi Paesi dove si giocano gli interessi economici del Paese, cioè razionalizzare non significa semplicemente ridurre. Significa ridurre una presenza più tradizionale, ripeto, soprattutto mi riferisco ai consolati in Europa, e nello stesso tempo investire su una presenza che invece guarda ai grandi mercati, ai grandi partner economici, all’Asia, per esempio, come Paesi nei quali noi dobbiamo investire e rafforzare la rete, anche perché c’è una domanda di sostegno, di collaborazione, da parte dei nostri imprenditori, a cui talora non siamo in grado di rispondere in modo adeguato. Abbiamo anche avviato qualche riflessione comune con alcuni nostri partner europei, sia perché io ritengo che certi servizi che vengono forniti ai cittadini italiani all’estero in Europa potrebbero essere serviti dalla rete istituzionale dei Paesi dove i nostri concittadini vivono. Siamo nell’ambito dell’Unione Europea, e si tratta di cittadini comunitari che potrebbero ricevere certi servizi anagrafici dal Comune francese o tedesco dove loro vivono, anziché attraverso il Consolato italiano. E questo potrebbe essere, su una base di reciprocità, qualcosa su cui lavorare con i Paesi europei. E poi abbiamo anche ragionato sulla possibilità di avere, di mettere in comune le strutture, che so io, forse è un sogno, ma io penso che un gruppo di Paesi europei potrebbe avere una sede comune per la propria Ambasciata in certi Paesi africani o asiatici, con un ufficio per ciascuno, riducendo i costi, razionalizzando. Spero che un giorno questo diventerà possibile, anche se ad oggi non appare semplicissimo; qualche sperimentazione c’è, comincia ad esserci qualche sperimentazione di questo tipo, lo si vuole fare. Insomma, io credo che si possa razionalizzare, ma non nel senso di una drastica riduzione della rete. Riduzione della rete significa riduzione di ambizioni, e noi siamo un Paese che, anche se naturalmente possiamo esercitare il nostro ruolo soprattutto nell’area geografica più vicina, è chiaro che l’Italia può esercitare questo ruolo di media potenza nel Mediterraneo, nei Balcani. Tuttavia, noi siamo un Paese che ha una relazione internazionale molto ampia, che è legata a due ragioni. Una è questa presenza degli italiani nel mondo, che comunque è una risorsa del Paese. E l’altra ragione è che noi siamo un Paese che ha una rete di amicizie enorme e potenzialmente ancora più vasta, cioè l’Italia è un Paese amato, è un Paese popolare, un Paese che gode di grandissime potenzialità sulla scena internazionale. Il nostro è un popolo cosmopolita, quindi predisposto alla globalizzazione, diciamo. E io credo che ridurre la presenza dell’Italia nel mondo sarebbe una mutilazione rispetto alle potenzialità che il nostro Paese ha, anche dal punto di vista economico oltre che culturale. E quindi, a mio giudizio, una drastica riduzione della rete non è possibile. Si può razionalizzare, si può certamente ridurre in Europa, ma a fronte di questo io ritengo che si deve investire di più in altri continenti.
Il coordinamento del sistema Italia.
Mariangela Pira. Durante questi due anni del Suo mandato c’è stata una forte partnership anche con il mondo delle imprese. In un certo qual modo Lei si sente di aver gettato le basi per un nuovo ruolo della Farnesina, forse più aperto rispetto a quanto era prima?
On. Massimo D’Alema. Guardi, io credo che la collaborazione tra Ministero degli Esteri e Ministero per il Commercio Estero e il sistema delle imprese italiane sia stata una collaborazione molto efficace e di grande successo, che poi si è anche consolidata in uno “steering group”, un gruppo di lavoro comune che resterà come una struttura  permanente del nostro lavoro. Io spero che il Ministero per il Commercio Estero faccia parte del Ministero degli Esteri, perché questo mi sembra il modo più razionale di organizzare il lavoro del Governo, e spero anche che si riesca meglio a coordinare l’insieme della presenza italiana nel mondo. Mi riferisco anche ad una presenza internazionale delle Regioni, che qualche volta si sviluppa in modo un po’ costoso e confuso. Ho l’impressione che non sempre usiamo bene, in modo coordinato, le risorse disponibili del Paese. E quindi, da questo punto di vista noi abbiamo avviato uno sforzo serio. Io sono del tutto persuaso che la presenza economica dell’Italia nel mondo ha bisogno di un forte supporto politico. Non è vero che le imprese possono muoversi da sole, competono da sole. Non è così. La competizione internazionale è sempre legata ad un mix di fattori, in cui c’entra moltissimo la politica e i governi. Senza la presenza della politica e dei governi è molto difficile anche per le imprese competere, soprattutto in quei settori strategici, la tecnologia, gli armamenti, l’energia, dove il peso della politica è determinante. E devo dire che in questi due anni abbiamo lavorato bene insieme. Abbiamo ottenuto anche moltissimi risultati positivi sul piano concreto, sul piano delle opportunità per le imprese italiane. E soprattutto, abbiamo creato un meccanismo di cooperazione, che io credo sia un elemento importante nel miglioramento del lavoro della Farnesina, della struttura proprio, anche. Fa capo alla Segreteria Generale, e ha creato con, soprattutto con Confindustria, con il sistema delle imprese italiane, direi, un rapporto di cooperazione che è estremamente efficace e continuo.
La macchina amministrativa del MAE
Mariangela Pira
. Venendo sempre alla struttura della Farnesina, certamente è una struttura molto complessa, la macchina amministrativa del Ministero degli Esteri. Quali sono, secondo Lei, i punti di forza e i punti di debolezza, specie rispetto ai Ministeri degli Esteri degli altri Paesi occidentali che possono essere, in un certo qual modo, comparabili con il nostro?
On. Massimo D’Alema. Ma, questo sarebbe un discorso molto complesso, diciamo. Noi abbiamo lavorato per colmare quella che, a mio giudizio, era una debolezza, e cioè la debolezza, appunto, di una struttura preposta ad elaborare una strategia di medio periodo. Direi che questa dimensione strategica della pianificazione di medio periodo, anche perché purtroppo il sistema politico italiano è debole, quindi la fragilità dei governi, diciamo, l’instabilità politica non ha aiutato neppure la struttura amministrativa a dotarsi di questa capacità di visione di medio e lungo periodo. E quindi, abbiamo creato un nucleo di elaborazione strategica aperto, formato non soltanto, diciamo, dalla struttura della Farnesina nelle sue responsabilità primarie, ma anche, appunto, aperta al mondo dell’università, di centri di ricerca, delle imprese, delle organizzazioni non governative, proprio con lo sforzo di elaborare un’analisi e una visione di medio e lungo periodo della politica estera italiana. Poi io credo che, insomma, noi abbiamo una struttura di qualità. Naturalmente con le risorse di cui disponiamo, che sono, come Lei ha ricordato, sono inferiori alle risorse che vengono investite dagli altri grandi Paesi europei, però io penso che la qualità della nostra diplomazia è una qualità notevole. Adesso non voglio entrare nel merito di punti su cui c’è da lavorare. Io penso che noi abbiamo da lavorare in questo momento avendo migliorato, diciamo, la nostra diplomazia economica, probabilmente c’è da lavorare sulla nostra diplomazia culturale. Io credo che qui ci sono delle grandissime potenzialità ancora solo in parte utilizzate da parte nostra. Anche qui c’è una necessità di mettere in rete l’azione del Ministero degli Esteri con la molteplice azione italiana. E qui entrano in campo gli enti locali, i musei, il Ministero dei Beni Culturali, e tutto questo, ripeto, ha delle enormi potenzialità, che probabilmente, anche a causa di una mancanza di un coordinamento efficace, non sono pienamente valorizzate. Infine, e sono dispiaciuto che sia rimasto a metà, l’iter parlamentare della riforma della cooperazione. La cooperazione è uno strumento molto importante di presenza internazionale, ma è anche poi uno strumento importante, come dire, per esprimere pienamente una vocazione italiana alla solidarietà, e che appartiene molto profondamente alla nostra società e, direi, allo spirito pubblico del nostro Paese. E noi abbiamo rilanciato la cooperazione internazionale. L’abbiamo anche rifinanziata in modo più cospicuo rispetto agli anni passati, e abbiamo avviato una riforma che io credo sia molto importante proseguire. Spero che potrà proseguire nel corso di questa nuova legislatura, perché abbiamo bisogno di dotarci di uno strumento più snello, più agile. Abbiamo proposto un’agenzia per la cooperazione dal punto di vista operativo, e anche nello stesso tempo abbiamo bisogno, anche qui, di coordinare gli interventi, nel senso di valorizzare quegli interventi della società civile, organizzazioni non governative, istituzioni che si dedicano a un’attività benefica, gli interventi degli enti locali, delle Regioni, con l’azione del Governo, anche per rendere proprio complessivamente più efficace questa azione italiana nel mondo dei Paesi più poveri. Questa è una riforma che è rimasta incompiuta e che spero si potrà compiere, perché la cooperazione è uno strumento essenziale della politica estera e della proiezione internazionale dell’Italia.
La qualità della diplomazia italiana
Mariangela Pira. In questi due anni Lei ha avuto modo di vedere i diplomatici italiani all’opera in situazioni complesse e di conflitto. Un esempio lo abbiamo fatto poc’anzi. Che impressione ne ha tratto, e quali sono i margini di miglioramento e provvedimenti da adottare, secondo Lei? Forse uno di questi provvedimenti è anche quello di cui ha appena parlato. Come vede questa questione?
On. Massimo D’Alema. Guardi, adesso naturalmente non si parla di “i diplomatici italiani”, si parla di persone, ciascuna delle quali ha le sue qualità e i suoi, a volte, difetti, diciamo, e quindi parliamo nella media. Noi abbiamo degli Ambasciatori che mediamente sono bravi. In qualche caso, mi riferisco a diplomatici italiani che operano in situazioni di grave crisi, di conflitto, e di pericolo, alcuni di questi sono bravissimi, nel senso che godono anche di un notevole prestigio all’interno del mondo diplomatico, e spesso sono un punto di riferimento, non soltanto per il nostro Paese, ma per la comunità dei diplomatici dei maggiori Paesi, che, come sa, in queste situazioni di pericolo, e spesso queste comunità sono mondi di persone che lavorano insieme, che comunicano. Io ho potuto constatare che in qualche caso, adesso senza fare nomi, perché non è simpatico, soprattutto per quelli che non vengono nominati, diciamo, ma noi veramente abbiamo Ambasciatori di primissimo livello, e questo, devo dire, che è una risorsa del Paese. Naturalmente, non tutti sono così bravi, ma adesso qui non stiamo facendo una classifica, diciamo, dei buoni e dei cattivi. Parliamo della media, parliamo di situazioni di crisi e di conflitto. Beh, io devo dire che ho sempre la sensazione di diplomatici che hanno una visione molto chiara della realtà e che godono di un notevole prestigio, sia nel rapporto con le classi dirigenti di questi Paesi, sia nel rapporto con la comunità diplomatica.
Mariangela Pira/Italia Estera



 
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