John Kennedy arrivò a Roma il 1° luglio del 1963, proveniente da Milano. Quattro giorni prima era stato a Berlino; alla porta di Brandeburgo aveva sostato in silenzio davanti al muro che divideva in due la città. Nel suo discorso rivolto a più di trecentomila berlinesi disse: “Duemila anni fa si era orgogliosi di dire civis romanus sum. Oggi la più orgogliosa delle espressioni che possono risuonare nel mondo libero è Ich bin ein Berliner, io sono un cittadino di Berlino”.
Dall'aeroporto di Fiumicino al Quirinale e a Villa Taverna, residenza dell'ambasciatore americano, in quella calda mattinata di luglio, il corteo delle auto trovò per le strade, soltanto poche persone; e nel pomeriggio, in piazza Venezia, quando Kennedy si recò all'altare della patria, c'era molta folla, ma erano tutti turisti americani.
A Roma. dopo gli incontri che ebbe col Governo, grande ricevimento al Quirinale e cena. Il menu', conservato nell'Archivio storico del Quirinale fu “Ristretto di pollo in tazza, filetti di sogliole alla veneziana, sella di vitello allo cherry, asparagi alla riviera, spumone conte rosso", innaffiati da "riesling, bardolino Bolla, Ruinart Reserve Brut 1949".
Il vero bagno di folla Kennedy lo ricevette a Napoli il giorno dopo. Umberto Borsacchi per l’Ansa ed io per l’United Press International fummo pronti a testimoniarlo ed a raccontarlo nei nostri servizi. Era il 2 luglio del 1963. Il primo dei presidenti americani che visitava la città. Giunse in elicottero alla Base Nato di Bagnoli alle 16,39. Sul piazzale, accompagnato dal segretario di Stato Dean Rusk, presenti il presidente della Repubblica italiana Antonio Segni e il capo del governo Giovanni Leone, Kennedy si rivolse ai militari americani e alle loro famiglie: "Sono venuto per riaffermare che l'impegno americano alla difesa dell'Europa è degno di affidamento". "L'Occidente deve essere unito per la pace". E Napoli è considerata un avamposto determinante.
Dopo il discorso, in programma un saluto alla città a bordo della Lincoln nera decappottabile, che partendo dalla Nato, passando sotto il tunnel delle 4 Giornate , via Caracciolo, il Corso Umberto, Piazza Garibaldi, Piazza Carlo III, la Doganella ed il viale Umberto Maddalena arrivasse a Capodichino, dove l'Air Force One avrebbe riportato Kennedy a Washington. Nessuno si aspettava tanta folla. Tutti dovettero ricredersi quando il Presidente americano su via Caracciolo, accompagnato da Segni, scende dalla Lincoln per rendere omaggio ai caduti di fronte al monumento ad Armando Diaz. È difficile per il servizio d’ordine contenere l'emozione della folla dietro le transenne: tutti tentano di abbracciarlo come se fosse una persona di famiglia, emigrata, che torna dall’America dove ha fatto fortuna . Si sentono distintamente i 21 colpi a salve sparati dal cannone della Marina Militare da Castel Sant’Elmo e le sirene delle navi della sesta flotta americana alla fonda in rada dinanzi al Porto di Napoli e di tutte le altre navi..
Più di un milione di napoletani scesero nelle strade del centro, senza che nessuno avesse organizzato qualcosa. Alle finestre della case c'erano centinaia di bandiere tricolori, mentre quelle americane il comune le collocò su ogni palo dell’illuminazione, nelle strade percorse dal corteo; tutti gli autobus ed i tram esponevano bandiere americane. Sulle pareti delle affissioni grandi manifesti, frasi scritte a mano su improvvisati striscioni. Dai balconi al Corso Umberto I ed al Corso Garibaldi vi erano esposte tutte le coperte di pregio in segno di omaggio. Molti i lanci di petali di rose al passaggio del corteo scortato da corazzieri in motocicletta.
La gente si agitava, gridava, chiamava Kennedy per nome, sventolando bandierine. Mi sembrava di assistere al rumoroso passaggio dei ciclisti del Giro della Campania capeggiati da Fausto Coppi.
Davanti al teatro San Carlo l'auto presidenziale, la Lincoln scoperta in cui Kennedy viaggiava in compagnia del presidente della Repubblica Italiana Antonio Segni, fu costretta a fermarsi dalla folla festante che aveva rotto i cordoni, e poté riprendere soltanto dopo qualche minuto. E fu lì che Peppino De Laurentis il fotoreporter de “Il Mattino” immortalò l’avvenimento nella foto che pubblichiamo.
In via De Pretis un uomo riuscì ad entrare nell’auto di Kennedy, non si sa come, e a abbracciarlo, sotto gli occhi esterrefatti degli agenti di scorta. Davanti all'università una donna gettò dalla finestra un mazzo di fiori, che finì però a qualche metro dall'auto; Kennedy disse all’autista di fermarsi e di raccogliere i fiori; poi li prese e li agitò in aria, guardando sorridente verso la gente affacciata ai balconi ed alle finestre. La sua una commozione senza pari. Tutto il tragitto lo percorse tra due ali di folla festante. Ma da dove veniva tutta quella gente sulla salita della Doganella, sul viale Umberto Maddalena fino all’aeroporto? Sempre accompagnato dal Presidente della Repubblica Antonio Segni, fu accolto dal picchetto d’onore degli Avieri italiani quando varcò i cancelli dell’aeroporto Ugo Niutta. Il corteo si diresse nel settore americano. Sulla pista riuscimmo a stringere la mano del Presidente. Un saluto molto cordiale. Sui nostri volti, una intensa commozione. Poi John Fitzgerald Kennedy, poco prima di salire la scaletta dell’aereo per lasciare l’Italia, salutò tutti uno ad uno. Poi parlò ai cronisti americani che lo seguivano. Noi eravamo là. Disse: "L'Italia, ha scritto Shelley, é il paradiso degli esiliati. In questo mio breve esilio dal clima di Washington ... ho immensamente apprezzato questo paradiso come ultima tappa del mio viaggio in Europa. Lascio questo Paese con rammarico e l'unica scusa per la brevità del mio soggiorno é la certezza del mio ritorno, la prossima volta con mia moglie". Ma John Fitzgerald Kennedy non tornera' piu' perché il 22 novembre del 1963, cinque mesi dopo, fu assassinato a Dallas.
Giuseppe Maria Pisani/Italia Estera
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