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21 gen 2011La Cina si consacra a Washington nuova superpotenza e gigante economico

di Alfonso Maffettone
 
ROMA, 20 GENN, (Italia Estera) – L’ottavo summit fra Barack Obama e Hu Jintao   a Washington ha fatto emergere sottili  segnali di progresso nelle relazioni fra  Stati Uniti e  Cina, da sempre tese per le violazione dei diritti umani e le questioni di carattere economico e strategico. Si tratta di un magro o magrissimo bilancio  che può essere fatto solo se si ricorre al famoso concetto del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Il vertice ha lasciato pressochè  immutato il contenzioso bilaterale sulla rivalutazione dello yuan, sull’ esiguità  del dialogo militare e su tutti gli altri problemi sul tappeto. E’ stata una delusione per l’Amministrazione Obama che ha accolto  Hu  con onori e festeggiamenti, un fasto  che mai i  precedenti Presidenti avevano riservato agli ospiti di Pechino.  E’ stato un evento che di fatto ha consacrato la Cina nuova superpotenza  e  seconda potenza economica davanti al Giappone sorpassato nel Pil e nel tasso di crescita.
Il comunicato congiunto  è pieno di frasi generiche e diplomatiche ( “la comune volontà di crescere assieme” per affrontare le “sfide comuni” del XXI secolo ecc) ed ha solo un punto che suscita interesse quando il testo esprime la “pubblica preoccupazione cinese” sulle recenti rivelazioni che attribuiscono alla Corea del Nord l’apertura di un impianto di uranio arricchito.  Quello della Corea del Nord è stato  uno dei temi più controversi della visita di Hu e sul quale la parte americana ha più  insistito. L’Amministrazione Obama ha denunciato da tempo che il  dittatore Kim Jong  minaccia la pace in Estremo Oriente con i suoi sforzi  per la realizzazione di  un programma di armamento nucleare e con i suoi continui attacchi alla Corea del Sud con la quale esiste solo un trattato di armistizio dopo la guerra fratricida negli anni cinquanta. La  Cina, la più forte alleata di Pyongyang, era stata più volte sollecitata ad esprimere la sua preoccupazione ma Pechino aveva sempre fatto cadere le richieste americane.  Adesso ,per la prima volta, il Presidente Hu ammette  che odi e rancori del passato possono riesplodere ed incendiare di nuovo il continente.
 Ma la cosa più sorprendente è che il  rappresentante del gigante economico dell’Asia , nella  conferenza stampa alla Casa Bianca,  ha  detto che la Cina riconosce e rispetta l’universalità dei diritti umani.  “Siamo un Paese molto popoloso, combattiamo la povertà e consentiamo così un maggior rispetto dei diritti umani, la cui importanza è universale, e possiamo fare ulteriori progressi”, ha affermato il Presidente. Nessun riferimento, però, al caso del Premio Nobel Liu Xiaobo  per il quale Barack Obama , a sua volta Nobel della pace nel 2009,  ha chiesto chiaro e tondo  la scarcerazione nei colloqui privati con l’ospite di Pechino. Nessun  accenno neppure  al dialogo con il Dalai Lama, ne’  alla  libertà di parola, di assemblea e fede in Cina,  “ valori americani” sottolineati con franchezza dal Capo dell’Esecutivo Usa.
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 La dichiarazione di Hu  è  stata  una cineseria di quelle che possono essere interpretate in tutti modi. Il New York Times sostiene che, citando per la prima volta a livello ufficiale il tema dei diritti umani  alla fine del  suo  mandato presidenziale, Hu  ha infranto uno dei taboo inviolabili della politica cinese e che questo è l’ elemento positivo della visita a Washington. Ma c’è da chiedersi  se  la dichiarazione sia l’espressione di una  nuova retorica o  il segnale di un nuovo capitolo nelle relazioni sino-americane ?.  “Sono parole naturalmente e le parole sono più facili dei fatti” ha detto Kenneth G. Lieberthal, allievo della Brookings Institution ed ex consigliere della passata Amministrazione  di Bill Clinton sulla sicurezza e sulla Cina: “ Almeno la nuova retorica è meglio di niente”, ha affermato sconsolato Lieberthal .
Alfonso Maffettone/Italia Estera



 
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