di Alfonso Maffettone
ROMA, 20 GENN, (Italia Estera) – L’ottavo summit fra Barack Obama e Hu Jintao a Washington ha fatto emergere sottili segnali di progresso nelle relazioni fra Stati Uniti e Cina, da sempre tese per le violazione dei diritti umani e le questioni di carattere economico e strategico. Si tratta di un magro o magrissimo bilancio che può essere fatto solo se si ricorre al famoso concetto del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Il vertice ha lasciato pressochè immutato il contenzioso bilaterale sulla rivalutazione dello yuan, sull’ esiguità del dialogo militare e su tutti gli altri problemi sul tappeto. E’ stata una delusione per l’Amministrazione Obama che ha accolto Hu con onori e festeggiamenti, un fasto che mai i precedenti Presidenti avevano riservato agli ospiti di Pechino. E’ stato un evento che di fatto ha consacrato la Cina nuova superpotenza e seconda potenza economica davanti al Giappone sorpassato nel Pil e nel tasso di crescita.
Il comunicato congiunto è pieno di frasi generiche e diplomatiche ( “la comune volontà di crescere assieme” per affrontare le “sfide comuni” del XXI secolo ecc) ed ha solo un punto che suscita interesse quando il testo esprime la “pubblica preoccupazione cinese” sulle recenti rivelazioni che attribuiscono alla Corea del Nord l’apertura di un impianto di uranio arricchito. Quello della Corea del Nord è stato uno dei temi più controversi della visita di Hu e sul quale la parte americana ha più insistito. L’Amministrazione Obama ha denunciato da tempo che il dittatore Kim Jong minaccia la pace in Estremo Oriente con i suoi sforzi per la realizzazione di un programma di armamento nucleare e con i suoi continui attacchi alla Corea del Sud con la quale esiste solo un trattato di armistizio dopo la guerra fratricida negli anni cinquanta. La Cina, la più forte alleata di Pyongyang, era stata più volte sollecitata ad esprimere la sua preoccupazione ma Pechino aveva sempre fatto cadere le richieste americane. Adesso ,per la prima volta, il Presidente Hu ammette che odi e rancori del passato possono riesplodere ed incendiare di nuovo il continente.
Ma la cosa più sorprendente è che il rappresentante del gigante economico dell’Asia , nella conferenza stampa alla Casa Bianca, ha detto che la Cina riconosce e rispetta l’universalità dei diritti umani. “Siamo un Paese molto popoloso, combattiamo la povertà e consentiamo così un maggior rispetto dei diritti umani, la cui importanza è universale, e possiamo fare ulteriori progressi”, ha affermato il Presidente. Nessun riferimento, però, al caso del Premio Nobel Liu Xiaobo per il quale Barack Obama , a sua volta Nobel della pace nel 2009, ha chiesto chiaro e tondo la scarcerazione nei colloqui privati con l’ospite di Pechino. Nessun accenno neppure al dialogo con il Dalai Lama, ne’ alla libertà di parola, di assemblea e fede in Cina, “ valori americani” sottolineati con franchezza dal Capo dell’Esecutivo Usa.
.
La dichiarazione di Hu è stata una cineseria di quelle che possono essere interpretate in tutti modi. Il New York Times sostiene che, citando per la prima volta a livello ufficiale il tema dei diritti umani alla fine del suo mandato presidenziale, Hu ha infranto uno dei taboo inviolabili della politica cinese e che questo è l’ elemento positivo della visita a Washington. Ma c’è da chiedersi se la dichiarazione sia l’espressione di una nuova retorica o il segnale di un nuovo capitolo nelle relazioni sino-americane ?. “Sono parole naturalmente e le parole sono più facili dei fatti” ha detto Kenneth G. Lieberthal, allievo della Brookings Institution ed ex consigliere della passata Amministrazione di Bill Clinton sulla sicurezza e sulla Cina: “ Almeno la nuova retorica è meglio di niente”, ha affermato sconsolato Lieberthal .
Alfonso Maffettone/Italia Estera