di Alfonso Maffettone
ROMA, 27 MAR, (Italia Estera) – La guerra in Libia e le ribellioni in Siria, Bahrein, Yemen e Giordania pongono una sfida alla pace in Medio Oriente ed alla sicurezza di Israele che, pur mantenendosi estraneo alle proteste popolari nei paesi arabi, ha subito un attentato la scorsa settimana. Una bomba è esplosa a Gerusalemme su un autobus facendo un morto e trenta feriti mentre razzi lanciati da Gaza continuano a piovere sul territorio israeliano rivelando che Hamas, l’organizzazione politica e militare al potere in Palestina, sta capitalizzando l’incertezza del momento.
In Tunisia Ben Ali e Hosni Mubarak in Egitto, che erano due pilastri dell’equilibrio regionale, sono stati spazzati via dal vento della primavera araba. In Libia la dittatura di Muammar Gheddafi è destinata ad avere la stessa sorte sotto i bombardamenti aerei della coalizione occidentale scesa in campo a sostegno dei ribelli ed in difesa della popolazione civile come a volere riscattare i rapporti di affari e di amicizia tenuti in passato con il “ cane pazzo di Tripoli” , l’appellativo dato al rais, a suo tempo, dal presidente Usa Ronald Reagan.
Ma in Medio Oriente la crisi più grave è la Siria ,considerata da sempre una isola di stabilità. Il Paese è sprofondato da 13 giorni nel caos delle proteste e delle repressioni sanguinose. Almeno 150 sono i caduti sotto il fuoco delle forze di sicurezza.
La maggioranza sunnita, scesa nelle strade della Siria sotto la spinta della rivolta araba dal Nord Africa al Golfo Persico, chiede la fine dello stato di emergenza in vigore dal 1963, libertà e riforme economiche. Il potere e soprattutto l’apparato di sicurezza dell’Esercito sono in mano ai siriani alawiti che rappresentano il 10% dei 22 milioni di abitanti e sono una minoranza fortissima perchè hanno nella loro setta la famiglia del presidente Bashar Al Assad. Di contro i sunniti , che sono il 75% della popolazione, vogliono regolare i conti con gli alawiti che nel 1982 sotto la guida di Hafez Assad, padre dell’attuale presidente Bashar Al Assad, massacrarono ad Hama migliaia di persone aderenti al gruppo islamista dei Fratelli Musulmani. A sostegno degli alawiti si sono schierati i drusi e i cristiani timorosi di un sopravvento degli islamisti mentre la borghesia sunnita arricchitasi con le privatizzazioni promosse dal governo si pone come ago della bilancia.
All’inizio del mandato, ricevuto in eredità dal padre nel 2000, Bashar Assad era popolare. Era visto come il presidente che poteva intraprendere le riforme per i suoi studi in Occidente ed invece ha lasciato intatte tutte le restrizioni inclusa la legge sullo stato di emergenza che stabilisce il divieto di espressione e l’arresto senza accusa e senza processo. Per calmare le proteste il Capo dello Stato ha promesso un aumento del 20 e 30% dei salari ed aperture politiche senza precedenti:le dimissioni del governo,l'abrogazione della legislazione d'emergenza , la fine del partito unico del Baath e il pluralismo.
Analisti politici sostengono che la marcia della rivolta è ormai inarrestabile e non nascondono i timori per la pace in Medio Oriente se Assad dovesse rafforzare la repressione fino alle conseguenze di un massacro- genocidio come quello ordinato da suo padre nel 1982. In questo caso, la comunità internazionale si troverebbe di fronte al dilemma se attuare o no l’ opzione militare per una no fly zone sulla Siria come quella già adottata in Libia in difesa della popolazione. E’ una ipotesi che scatenerebbe la reazione della Repubblica islamica dell’Iran sciita, alleata di Assad e degli Hezbollah in Libano e non è difficile immaginare che la sicurezza di Israele e l’ integrità del Libano potrebbero essere messe a dura prova.
Altra ipotesi all’esame, è la capitolazione di Assad. Analisti americani ritengono che, sebbene le relazioni fra Damasco e Washington siano fredde se non freddissime, una eventuale presa di potere dei gruppi islamisti dei Fratelli Musulmani in Siria sarebbe un colpo per l’Occidente. Assad, pur essendo espressione di una setta sciita, ha dichiarato di essere interessato ad un accordo di pace con Tel Aviv anche se finora ha posto solo ostacoli alla sua realizzazione.
Altro problema è la Giordania. Nessuno pensa ad un rovesciamento della monarchia di re Abdullah II ma gli incidenti degli ultimi giorni che hanno causato un morto e cento feriti, pongono una delle più gravi sfide al sovrano, stretto alleato degli Usa e legato da un trattato di pace con Israele. Insomma un altro barile che si aggiunge alla polveriera Medio Oriente dove Arabia Saudita, Yemen, Bahrein hanno da tempo acceso le loro micce.
Alfonso Maffettone/Italia Estera